
Nel suo testamento il defunto Pantaleo Di Santa Paola, uomo ricco che ha sofferto tutta la vita per la colpa di aver concepito due gemelli (ambedue interpretati da Totò) congiungendosi con l’umile cavallerizza di un circo equestre, ha stabilito che le sue sostanze dovranno andare come è giusto che sia ai suoi figli. I gemini sono totalmente opposti nel carattere e nello status sociale: Nicolino è un irrimediabile fannullone, mentre Gelsomino è un affermato compositore di canzoni. A loro si aggiunge all’improvviso un terzo gemello (sempre interpretato da Totò) che ha seguito le orme della madre e per sopravvivere lavora al circo, portando avanti un numero in cui si traveste da belva feroce. I parenti dei figli di Pantaleo non sono disposti a rispettare le volontà del defunto, così cercano in vario modo di eliminarli; particolarmente violento si rivela il cugino Asdrubale (Augusto Di Giovanni) cacciatore di leoni, che punta una pistola contro di loro. Ma il fantasma della buonanima è sempre vigile e interviene a difesa della sua prole… Il professor Casamandrei (Totò) conosce la bella Doriana (Isa Barzizza) al concorso di Miss Italia e se ne innamora perdutamente, ma la ragazza lo prende in giro sostenendo che lo sposerà solo se vincerà il Giro d’Italia. Inizialmente il coraggioso intellettuale decide di prendere lezioni di ciclismo, ma con risultati assai deludenti; è allora che il suo istruttore (Mario Castellani) scherzando gli consiglia di fare un patto con il diavolo. Tornato a casa Casamandrei evoca un demone di bassa categoria, interpretato da Carlo Micheluzzi, che gli propone un accordo: riceverà le doti atletiche per vincere il Giro, ma in cambio cederà la sua anima. Una volta a conoscenza dell’accaduto, Doriana cerca di aiutare lo spasimante, pentito della sua decisione scellerata dopo le prime vittorie, a perdere ma tutto è inutile. Il diavolo che è stato evocato non si lascia prendere in giro, mentre i grandi campioni del ciclismo, da Coppi a Bartali, Bobet e Kubler rimangono basiti per le incredibili prestazioni di Casamandrei, il destino di quest’ultimo sembra irrimediabilmente segnato… Il barone Antonio Peletti è noto per la sua insopportabile taccagneria. Ha ereditato una cassetta che custodisce un incredibile ricchezza ma dovrebbe spenderne una parte per finanziare la scuola del paese, così si ostina a negare l’esistenza del goloso patrimonio che in realtà conserva in un luogo al sicuro. Gli uomini più insigni del luogo decidono di organizzare un tiro mancino per piegare la volontà del protagonista: il farmacista (Eduardo Passarelli) fingerà di aver scambiato la medicina per conciliare il sonno di Peletti con del veleno. Tutti sono d’accordo, persino il sindaco (Arturo Bragaglia) e sua moglie (Tina Lattanzi) partecipano alla crudele burla, ma il barone è un osso davvero duro a morire…
Gli autori de La paura fa Totò analizzano con spirito critico i film in cui il Principe della risata ha interpretato scene da commedia horror per accrescere la vivacità delle sue storie, un piccolo manuale che dimostra l’efficacia di questo stile comico anche inserito in film impostati sul canone della commedia classica. Da Totò Diabolicus – in parte parodia del noto fumetto delle sorelle Giussani, stranamente uscito nelle sale cinematografiche alcuni mesi prima che esordisse il numero uno di Diabolik – dove le atmosfere di un noir esilarante prevalgono in tutto il lungometraggio, a L’imperatore di Capri e 47 morto che parla dove tali scene rappresentano solo una parte delle vicende dei film. La comicità nera era uno stimolo per l’attore partenopeo per mettersi alla prova, anche con l’intento di reinterpretare classici del cinema e dimostrare che scherzare con le vicende tragiche può e deve essere una strategia per divertire maggiormente il pubblico. Cozzolino e Livigni hanno ben presente quali erano gli intenti di Totò e li rivelano in un’opera breve ma completa, attenti a non dimenticare doverose citazioni di episodi ormai noti agli estimatori del cinema dei tempi andati – come la scena di Che fine ha fatto Totò Baby? in cui Totò, annebbiato dagli effetti della marijuana mangiata come insalata, elimina le due belle tedesche sciogliendo nell’acido la prima e strangolando con la classica calza la seconda – e aggiungendo varie curiosità. Ma per dovere di cronaca ricordano anche quanto il Principe della risata sia stato bersagliato dalla critica. Per alcuni recensori in realtà erano i copioni dei film che gli venivano offerti ad essere di scarsa qualità – ma è sottinteso che De Curtis, accettando di interpretare tali pellicole, inevitabilmente si adattava al cinema più bieco -, altri giungevano a sostenere che nelle sue battute l’attore partenopeo non era in grado di mantenere l’alto livello dimostrato nella mimica. Ma al di là del giudizio dei professionisti, Totò ha sempre potuto fare affidamento sul sostegno del suo pubblico ed oggi è innegabile come a lui si debba una lunga epopea comica che, anche se non sempre di alto spessore, ha rappresentato uno dei momenti più felici della comicità italiana. Giuseppe Cozzolino è docente di Storia del cinema e Storia delle comunicazioni all’Università di Napoli. Ha pubblicato numerosi interventi critici su riviste specializzate e quotidiani, mentre come co-autore ha curato i volumi Cult tv – L’universo dei telefilm, edito da Falsopiano nel 2000, e Planet – I telefilm che hanno fatto la storia della tv, edito da Aracne nel 2004. Dal 2018 si occupa del blog Un Totò al giorno, interamente dedicato al Principe della risata. Domenico Livigni possiede una vasta collezione di fotografie di attori e registi del cinema italiano. Studioso di archeologia, storia dell’arte e del patrimonio culturale, nel 2018 ha pubblicato con Aperion Edizioni Serie oro. Totò con i quattro, scritto a quattro mani con Ciro Borelli, lo stesso anno ha scoperto il copione di un film mai realizzato di Age e Scarpelli scritto per il comico partenopeo.