
Napoli, 1976. Jojo ha sognato sua madre con gli occhi di Titina. È stato bello. Titina è la sua migliore amica. Sono compagne di classe, vanno in quinta B. La scuola è vicinissima, a due passi da casa. Al mattino, durante il tragitto, Jojo non può fare a meno di inebriarsi del profumo di brioche appena sfornate. Le brontola sempre lo stomaco quando passa davanti alla pasticceria, anche se sua mamma, Lulù, non la fa uscire senza che abbia fatto colazione. Ma quel profumo… È convinta che il brontolio sia sintomo di desiderio, non di fame. Sua mamma non vuole che compri niente dalla pasticceria perché Lucilla, la signora che prepara i dolci, è una zozzona fetente. È vero, l’ha vista mettersi le dita nel naso e poi la mamma le ha raccontato che una volta hanno trovato un topo morto vicino al forno. Napoli è sporca, le dice sua madre. C’è stato il colera; quel topo sarà passato e ripassato sull’impasto delle brioche chissà quante volte… magari mangiando una di quelle brioche poteva prendersi la peste! Secondo Jojo sua mamma esagera, tutte scuse per non darle le cinquanta lire per comprare la brioche. A scuola, appena possono lei e Titina sgusciano in bagno dove si confidano idee, opinioni, confessioni. Un giorno, si chiudono in bagno assieme. Jojo deve fare un esperimento. Vuole riuscire a fare pipì in piedi, come i maschi. Non è giusto che le femmine debbano sedersi mentre quelli lì posso fare tutto comodamente. A volte vorrebbe essere un maschio. Sì, così potrebbe stare insieme a Titina, baciare la sua bocca piccola e rossa come una ciliegia. Lei ama Titina, il suo viso di bambola, adora il suo profumo di vaniglia e fiori di limone. Jojo è ancora magrolina, mangia poco: non vuole crescere. Lulù guarda con disappunto sua figlia, un fiore che non vuole sbocciare. Potrebbe diventare bellissima, come lei, che si guadagna da vivere traducendo romanzi rosa… Un giorno di ritorno da casa, Jojo bacia sulle labbra Titina ma poi si staccano subito perché vedono una donna che le fissa. Lei le conosce bene “queste signore che non sanno niente e che pensano di capire tutto solo perché hanno gli occhi in faccia. A Napoli ce ne stanno troppe così. E poi urlano, urlano sempre per fare sentire alla gente le stupidaggini che pensano”…
La pazienza della lucertola è un romanzo di formazione che ha al centro la figura di Joséphine, detta Jojo, figlia di una procace giovane donna francese che per guadagnarsi da vivere lavora come traduttrice di romanzi rosa, almeno stando a quanto dice lei. Jojo - con i suoi capelli rossi, il corpo minuto e secco secco - detesta Napoli, la città sporca, il chiasso della sua gente e il caldo insopportabile. Ha un’intelligenza acuta e una solida personalità. Sin dalle prime pagine del romanzo emerge la sua sagacia (“La verità è che non ho ancora deciso di voler crescere. Quando sarà il momento, diventerò come voglio veramente essere. Meno cresco, più si formano i pensieri precisi nel cervello.”) e diventa sempre più chiaro come la sua esistenza ruoti attorno all’intenso rapporto di amicizia che intercorre tra lei e Titina, l’amica del cuore. Un’amicizia che ben presto si tinge di sfumature omoerotiche. Quello di Adriana Capogrosso infatti non è un libro di sentimentalismi, bensì una narrazione cruda, anatomica, sensoriale. Si parla molto di odori, di suoni, di sapori, ma anche e soprattutto di corpo e di sessualità. Una sessualità declinata in tutte le sue manifestazioni (passionale, incestuosa, tenera, morbosa) che l’autrice non ha timore di mostrare in boccio nelle protagoniste giovanissime. La lettura procede in modo coinvolgente grazie a una scrittura limpida e a un ritmo cadenzato. Un libro consigliato a chiunque desideri immergersi in una storia di crescita così come di farsi trascinare nelle maglie di una vendetta e di un tentativo di redenzione sbagliata.