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La penultima mossa

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New York, 8 dicembre 1980. La rockstar Jo Nolan, ex leader di quella che è stata la band più famosa di sempre, i “Tricks”, sta rientrando a casa con la moglie Yumi Kimura, quando viene freddato con quattro colpi di pistola da un fan che ha avvicinato la coppia. A sparare è stato Robert Pursuit, un giovane affetto da disturbi psichiatrici alimentati da manie religiose: “Mi dica, di chi era la colpa? Di Adamo o di Eva?”. Destinatario del quesito è Seth Carlsen, ispettore della polizia di New York che ha preso in custodia il reo confesso. Eppure qualcosa non torna. Dalle testimonianze emerge che forse l’assassino ha esitato, come se l’obiettivo primario di Pursuit non fosse Nolan ma la Kimura: se così dovesse essere, la donna potrebbe trovarsi ancora in pericolo. Perché forse l’azione dello squilibrato è stata guidata da qualcuno che lo ha manipolato. Chi? La CIA o l’FBI che da tempo attenzionavano Nolan per le sue sospette attività antiamericane? O forse l’ex sodale e co-leader Fred Stubbs che condivideva con Nolan un segreto da mantenere tale a tutti i costi? Gira voce che in realtà il sedicente Fred Stubbs sia un sosia che ha sostituito il vero Fred, morto molti anni prima in un incidente d’auto. L’ispettore Carlsen, perennemente impegnato nelle sue partite a scacchi, vuole andare a fondo alla questione nonostante la riluttanza e l’opposizione di Dipartimento ed FBI… riuscirà a dare scacco matto?

Sulla copertina campeggia l’immagine ritoccata della copertina di Abbey Road, il penultimo album dei Beatles. All’interno troviamo invece quella che sembra la ricetta per comporre un pasticcio. Si prende l’omicidio Lennon e la storia della band cambiando nome a gruppo e componenti, dando per buona la vulgata che gli esegeti del gruppo (quelli che magari hanno letto di tutto, dal discusso Shout! all’autorizzato The Beatles Anthology) sanno essere falsa, ovvero che sia stata Yoko Ono a causare lo scioglimento dei quattro di Liverpool. Si affondano le mani nella leggenda metropolitana diffusa ad arte nel ’66 che vuole che il deceduto McCartney sia stato sostituito da un sosia; si compone quindi un impasto giallo senza bisogno di fare scorta di conoscenze poliziesco-investigative (già dal principio si noterà che la dinamica d’azione mirata a contenere lo squilibrato al funerale è l’esatto opposto di come si gestisce un intervento rapido di security, posto che peraltro la Omicidi osserva, filma e fotografa i funerali e non si occupa di pubblica sicurezza). Qualsiasi “licenza” poi (i Beatles non si scambiavano spartiti per il semplice fatto che non conoscevano la notazione musicale, l’inquietante Spectra alias Phil Spector era produttore musicale, non manager e tante altre) rispetto ai Beatles, la si potrà forse argomentare col fatto che la vicenda è quella dei “Tricks”, ma allora non si capisce perché debba ricalcare quella dei Beatles. Si aggiunge una spolverata di apologia di femmineo del terzo millennio con sviolinate continue e stridule sulla bellezza femminile, corredata da adeguata descrizione di abbigliamento e make-up di donne sempre belle, determinate, sexy, indipendenti, avvenenti, intelligenti, colte e sensuali che parlano con la “bocca più carnosa e invitante che si possa guardare” passando per il presunto desiderio di un uomo che l’autrice descrive a volte “incantato davanti a quella bambola di porcellana dalla pelle levigata” (sic!), altre col “sorriso docile davanti a tanta grazia”… Ovviamente colui che “la guardava incantato” fa parte di una pletora di personaggi maschili prevedibili, limitati, manipolabili e bidimensionali, tutti scesi dalla montagna del sapone. Questo ingrediente di facile reperibilità lo si trova ormai quasi in ogni scritto e pubblico dibattito, costituendo un elemento facile, anche se comincia ad avere un sapore leggermente stantio. Si lascia quindi lievitare il tutto fino all’assurdo, fin quando, ad esempio, per mantenere questa dinamica, l’ispettore Carlsen resta sconcertato dal racconto di una testimone che lo rende edotto su come funzionano le cose: “Carlsen ascoltava allibito. Queste persone vivevano in un mondo lontano mille miglia dal suo, fatto di liti, sparatorie senza validi motivi (…)”. Ma certo, come può un ispettore della Omicidi non restare sconvolto di fronte al racconto di una lite o di una sparatoria? Occorrerebbe però, ingrediente fondamentale, del genio drammaturgico necessario alla manipolazione di una storia vera. Ci vuole il genio stilistico di Tarantino per farci accettare che Hitler sia stato ucciso in un cinema di Parigi come in Bastardi senza gloria. Ma se invece lo stile si adagia su dialoghi degni di una fiction postprandiale di RaiUno anni ’80 (“Adesso sono definitivamente solo, il tuo segreto morirà con me…” - “Ma questo segreto che dobbiamo proteggere crea fra noi un legame indissolubile!”) senza lesinare qualche chicca come “riflesso incondizionato” o “non si riusciva a capacitarsi” e dinamiche investigative che fanno acqua da tutte le parti, la cosa è diversa. Piccolo dettaglio: un caso che l’FBI preme per chiudere e dichiarato tecnicamente chiuso a pag. 34 non può impegnare giorni e giorni un ispettore della Omicidi che peraltro non fa mai rapporto a nessun capo. Lo scopriamo tardi, a pag. 140. Ma lo scopriamo assieme all’ispettore stesso che “non esiste un caso Nolan”. Come? L’ispettore lo apprende per caso, guardando il proprio Capo intervistato alla tv. Intervistato da chi? Ovvio, dalla sua amante giornalista che arriva sempre prima di lui. Ed è lui a chiederle “Che ti ha detto il mio Capo?” con lei che, logico, fa quella sensualmente misteriosa: evidentemente gli Ispettori del NYPD escono la mattina senza briefing, senza incarico e indagano a piacimento. Sfornare infine un preparato compresso nello stampo di una storia vera, debordando ovunque faccia comodo, rende molto alta la probabilità che il fruitore possa storcere il naso. A completamento s’aggiunge un tocco d’originalità (?) che consisterebbe nell’inserire nel narrato la citazione cadenzata dei vari pezzi degli scacchi e relative mosse. E qui c’è un richiamo letterario che va ad un’opera del 1920 del grande e geniale Sergio Tofano, in arte Sto. L’opera si intitolava I cavoli a merenda. Meglio comunque di un pasticcio malriuscito.