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La via perfetta

La via perfetta

Il sogno di Daniele, originario della provincia di Latina, è segnare la storia dell’alpinismo con un’ascesa invernale sul Nanga Parbat, la nona montagna più alta della Terra, scalando l’inviolato sperone Mummery. Nel 2013 inizia la sua avventura e in compagnia della fortissima Élisabeth Revol tenta l’impresa. Da più di un anno Daniela lo ha lasciato senza dare più notizie e questo doloroso abbandono lo spinge a cimentarsi su quella via. Con determinazione raggiungono 6.000 metri ma una bufera li sorprende in una trappola mortale costringendoli a desistere. Quella sera, dopo tredici mesi di silenzio, riceve un messaggio… è la sua ex, con cui lentamente riprende la relazione. Carattere indomabile, l’alpinista di Sezze non si arrende e affronta di nuovo la montagna, in solitaria nel 2014, e un anno dopo con Roberto delle Monache. Nel 2016, insieme ad Alex Txikon e Ali Sadpara, organizza una nuova spedizione invernale con l’obiettivo di arrivare in vetta per la via Kinshofer. Durante la scalata però ha un incidente tra campo 1 e 2, viene inspiegabilmente lasciato solo in parete dai suoi compagni e in stato di shock scende al campo base. A seguito di una discussione con i componenti della squadra e con Simone Moro, impegnato sulla Messner-Eisendle, rientra in Italia e durante l’estate si sposa. Per un po’ rimane lontano dal Nanga, ma proprio quando il figlio Mattia non è più solo un pensiero, si ripresenta al cospetto del Mummery, e sarà il suo ultimo e tragico tentativo. Il 24 febbraio 2018, insieme a Tom Ballard, comunica per l’ultima volta da campo 4. Hanno toccato 6300 metri sullo sperone, sono felici e stremati. Saranno avvistati alcuni giorni dopo la loro scomparsa, morti e ancora legati l’uno all’altro…

Daniele Nardi sapeva bene cosa fare per entrare nel gotha dell’alpinismo. Lui che nasce alpinisticamente da solo, soprannominato “Romoletto” dal grande Silvio Mondinelli, voleva arginare la diffidenza e la poca credibilità di cui godeva nella comunità ed accorciare le distanze con i grandi. Era talmente consapevole dei rischi che correva da mettere in conto anche la morte, ma ha affrontato la sfida con determinazione. Desiderava che il mondo conoscesse la sua vicenda di vita, per questo ha chiesto ad Alessandra Carati di continuare a scrivere il libro qualora non fosse tornato dall’ultima spedizione. Assolvendo all’impegno assunto, viene pubblicato per Einaudi La via perfetta, un resoconto dell’impresa chiaro, dettagliato, al cardiopalma, ma anche una testimonianza del Daniele-uomo, che senza dubbio consente di classificare il testo anche come memoir. Con una scrittura avvincente e appassionata l’autore apre le porte del proprio animo al lettore, descrivendo i valori in cui credeva, l’amore per Daniela e suo figlio Mattia, ma anche le paure, il dolore e la rabbia che albergavano in lui. Era solo in parete, immerso in un’ambiente primordiale al limite della sopravvivenza umana, che riusciva a dialogare davvero con sé stesso, desideroso di capire “la materia di cui era fatto e i demoni che si agitavano nella sua carne”, di andare incontro al suo limite. A 42 anni si spegne sulla montagna che la leggenda vuole popolata da elfi e fate, e a chi legge lascia più di un messaggio e l’esortazione affinché ciascuno affronti il proprio Mummery. Se bisogna immaginare Sisifo felice, come insegna Albert Camus, allora bisogna immaginare anche Daniele Nardi felice.