
Nel momento in cui Mark mette piede in aeroporto a Tirana, cambia decisamente considerazione rispetto al posto in cui si trova. Eppure su Google Earth sembra un misero e scialbo puntino ma a guardarlo dal vivo è tutt’altra cosa, quell’aeroporto. La sua grandezza va al di là di ogni aspettativa: certo, l’uomo non ha ancora avuto modo di visitare gli aeroporti di altri Paesi balcanici e pertanto può relativamente rendersi conto di quanto quello di Tirana sia davvero grande. L’impatto con le guardie aeroportuali non è dei migliori: uomini sudici quelli, coperti da divise alquanto lerce. Meglio poi non guardarli in faccia, con quella barba sbrindellata che si ritrovano e sarebbe ancora meglio non avere a che fare con la loro mancanza di cortesia, che rasenta a tutti gli effetti la volgarità. Certo, Mark non può dirsi poi così scandalizzato per tale visione, né stupito per simili atteggiamenti, avendo viaggiato tanto per lavoro. Deve però ammettere, di non aver mai ha incontrato nei suoi spostamenti, uomini così sfrontati e privi di pudore. Cerca di consolarsi l’uomo con pensieri positivi e qualche luogo comune. “Questa è solo un’impressione, e per di più la prima”, pensa. “E come tale, nella maggior parte dei casi risulta sbagliata”. Mark non è affatto convinto delle sue idee, forse cerca consolazione in se stesso, oppure prova un profondo senso di colpa in quelle emozioni così negative nei confronti del luogo natio dei suoi genitori. Sua madre ha sicuramente contribuito a creare nella sua mente un’immagine soave di quel Paese, con le sue meravigliose narrazioni, mentre suo padre non ha mai profferito parola in merito. Mark deve dolorosamente ammettere che la sua prima impressione non conferma affatto la visione bucolica trasmessagli dalla madre. A pensarci bene però non è la prima volta che prova simili sensazioni; è già successo due volte, in posti molto più progrediti di quello e la colpa è stata delle elevate aspettative costruite nella sua testa. Con questo pensiero, Mark si consola e si sente addirittura sollevato: così sì, va meglio e sta facendo finalmente pace con quei luoghi, che, infondo, ha sempre desiderato visitare. Ha bisogno di pace, di quella serenità interiore che lo aiuti a ristabilire la connessione e a non sentirsi più uno straniero nella sua Terra, tra la sua gente…
Un’incursione satirica nell’Albania degli anni Novanta La piramide degli spiriti, una sorta di disegno che non manca di dovizia di particolari, di una Nazione che tenta con ogni mezzo la risalita, cercando di trovare la sua giusta posizione e la propria dimensione in un Occidente, che troppo spesso l’ha dimenticata. “Un racconto senza eroi”, lo definisce lo stesso Virgjil Muçi, il creatore di Mark Mara, l’indiscusso protagonista del libro, che dopo l’esperienza carceraria americana decide di ricongiungersi con il suo Paese d’origine, recandosi in una sconosciuta Albania. Le speranze di conoscere dei luoghi che possano piacergli, naufragano sin dal suo arrivo. Dallo scambio di battute con le guardie in aeroporto, al suo approdo in hotel, alla strana conversazione di un avventore, tutte avvisaglie di un mondo diverso da quello che Mark pensava di trovare. Le sue intenzioni sono buone, l’uomo vuole davvero ricominciare, ma avvenimento dopo avvenimento, pagina dopo pagina, aumenta in Mara la consapevolezza di trovarsi in un posto che è lontano dall’innocenza, in un posto, che rimane distante dalla purezza. Mark trova corruzione, trova un Paese sacrificato e stretto nella morsa dell’ammorbamento. Così l’uomo si perde nuovamente, smarrisce i suoi buoni propositi e decide di creare anche lui la sua piramide finanziaria, simile a quelle che già affondano le loro unghie nell’economia albanese. Mark chiude le porte alla sua idea di riscatto, per aprirle alla sete di conquista. Una realtà cinica, intrisa di problematiche sociali molto forti quella narrata da Muçi con uno stile lineare e asciutto che non pecca mai di banalità. Il suo racconto, che attraverso il personaggio di Mara vuole toccare le corde più profonde del percorso di riscatto dell’Albania, veste sapientemente i panni dell’ironia, di quella satira che secondo lo stesso scrittore “risponde bene al cinismo della società”. Un percorso, quello albanese, che Muçi traccia attraverso il protagonista del romanzo e tramite il suo viaggio, che rispecchia in qualche modo quello del suo Paese. Gli ultimi trent’anni di storia di una nazione martoriata e spesso drammaticamente alla ribalta, affrontati con una magistrale comicità, che alleggerisce l’impatto con la lettura, non alterando il peso dei contenuti. Una sorta di viaggio nel tempo dell’Albania che assume connotazioni bibliche: la fuga dall’Inferno, ossia dal comunismo, l’approdo a quella che è la via di mezzo, cioè il Purgatorio, sino ad arrivare agli innumerevoli sforzi che ancora l’Albania sta facendo per emergere, cioè il Paradiso. La piramide degli spiriti - con cui Virgjil Muçi si è aggiudicato in Albania il premio Kadare 2018 - ha tutto quello che un libro scritto bene deve avere: scorrevolezza, buoni contenuti, semplicità che non rasenta mai il semplicismo, accurate descrizioni di luoghi, personaggi ben delineati e soprattutto una carica notevole di emotività, che è propria di un autore, che fa sua la sofferenza della sua Patria.
LEGGI L’INTERVISTA A VIRGJIL MUÇI