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La più recondita memoria degli uomini

La più recondita memoria degli uomini

Diégane è arrivato in Francia dal Senegal; una borsa di studio che rinnova ogni anno per un dottorato che ancora, in qualche modo, non riesce a - o forse non vuole - concludere mentre si barcamena alla ricerca del senso della letteratura. Diégane, infatti, è un giovane scrittore che si trova quasi per caso a scontrarsi con un libro capolavoro intitolato Labirinto del disumano, che fin da quando ancora viveva in Africa lo aveva affascinato. Di quel testo Diégane ricorda solo un passo estrapolato e contenuto in un’antologia di studio poiché ben presto è stato censurato e le poche copie in circolazione sono andate perdute. Ora che vive nella Francia che ha sempre sognato di raggiungere ha finalmente la possibilità di rituffarsi nella ricerca e nella scoperta di quel romanzo che tanto lo aveva attratto e attanagliato da ragazzo. Una ricerca però, la sua, che non è affatto semplice: le poche informazioni redatte all’uscita del libro si sono perse negli archivi delle pubblicazioni giornalistiche e quando finalmente riesce a metterci sopra gli occhi... la scoperta è assai agrodolce. A creare davvero interesse e scalpore più che il libro in sé erano all’epoca l’autore e le sue origini: si metteva in dubbio che fosse un senegalese ad averlo scritto, si dubitava che fosse un’opera di fantasia e non un plagio, oggi c’è chi lo esalta e chi cerca di affossarlo, per timore o per vero disprezzo. Quando una copia del libro gli arriva tra le mani, prestatagli da una scrittrice che lui tanto ammira e stima, ecco che si aprono davanti a lui una serie di domande che lo portano sempre più nel profondo di un labirinto mentale dal quale può uscire solo una visione personale, che tra l’altro Diégane comprende potrebbe non essere necessariamente veritiera, né plausibile...

Mohamed Mbougar Sarr ha vinto il prestigioso premio Goncourt 2021 – per la prima volta assegnato ad un autore senegalese - presentando un libro che racconta il disagio degli scrittori stranieri trapiantati in Europa. Sempre alla ricerca di un modo per definirsi e definire i propri scritti, esuli che la comunicazione e la pubblicità indica quasi sempre come esploratori del proprio passato, delle proprie radici: esotici in qualche modo. Questo romanzo è stato definito un “giallo letterario” perché al suo interno vengono citate numerose opere di altri scrittori, ne vengono ripercorsi i passi più significativi e alla fine la conclusione è sempre quella che ognuno ha uno stile che appartiene solo a quello scrittore in particolare e dunque può essere realmente compreso solo da lui mentre i lettori possono e devono limitarsi a cogliere (o immaginare) nuove chiavi di lettura. Non c’è dubbio che sia una storia davvero particolare, quasi ancestrale, sia per tematica che per scrittura: una trama intricata che non permette realmente di raggiungere un punto di conclusione fermo e stabilito ma che preferisce avvolgere attorno al protagonista – come le spire di un serpente - una serie di sensazioni, di atmosfere. Una ricerca sul dolce stile di chi intesse magistralmente narrazioni: mai troppo noioso, mai completamente limpido eppure neppure troppo sconclusionato da far perdere il filo. Si ha la sensazione di trovarsi all’interno di un’indagine che insegue i passi dell’autore di un’opera e poi di un’altra e un’altra ancora e quando si arriva alla fine semplicemente si riesce ad avere una visione d’insieme che è un po’ la base e il fine di tutto il romanzo: cercare un’ombra del sé e di sé all’interno della propria letteratura, raccontare il presente con l’intreccio della fantasia. Molte poi le frasi ad effetto, molti i momenti affascinanti ma anche quelli confusi: il lettore è rapito in un turbinio di emozioni e situazioni sempre diverse, sempre più particolari che alla fine lo porta esattamente al punto di partenza.