
1935, Vigàta, Sicilia. Michelino ha compiuto da poco sei anni. È un bambino intelligente, ma è pur sempre un bambino e ancora il mondo degli adulti per lui è pieno di segreti e di fraintendimenti. I suoi genitori, per esempio, fanno cose molto misteriose. A Michelino capita spesso, per dire, di svegliarsi la notte sentendo la mamma che ansima e tutte le volte che lui va di nascosto a controllare trova i genitori che fanno la lotta a letto: certe notti a quanto pare vince il padre, tiene la donna a faccia in giù dandole “potenti colpi di panza” e lei non fa Aah! Aah! come al solito “ma, mischineddra, Ahi! Ahi!”, altre volte è la madre a vincere, sta “assittata supra la panza do papà”, si tira su e si siede in continuazione mentre il padre cerca di ribaltarla “posandole la mano sule minne”. Quella notte però i rumori sono molto diversi, se possibile ancora più inspiegabili: la madre piange e urla, il padre sta quasi sempre zitto ma poi dice: “Basta Ernestì! Basta che stai arrisbigliando ‘u paisi! Accura, Ernestì, che se m’incazzo io finisce a schifìo!”. Preso dalla curiosità, Michelino si alza e va a sbirciare in camera dei suoi. Il padre, in mutande, sta seduto su una sedia con la faccia “arrusicata e ‘nfuscata”, mentre la madre, in camicia da notte, cammina nervosamente per tutta la camera da letto “e ogni tanto si tirava dispirata i capiddri e si dava gran manate sulle minne”. Ma la sorpresa più grande per il bambino è che in camera con i suoi genitori c’è anche un’altra persona: Gersumina, la domestica sedicenne che dorme nello sgabuzzino accanto alla cucina. Anche la ragazza è in camicia da notte, anche lei sta seduta su una sedia, piangendo a testa bassa. Ogni tanto la mamma di Michelino le passa vicino e le dice rabbiosa: “Isa la testa, bagascia!” e poi le molla “una terribili timpulata” tirandole i capelli. Al bambino scappa uno starnuto e tutti si accorgono della sua presenza. “Che grannissima rottura de cabasisi, stu picciliddro!”, sbotta il padre tirandogli un calcio nel sedere. La madre lo porta via tenendolo per un braccio e intanto lo sculaccia. In cameretta, Michelino piange per un po’, finché non si addormenta. L’indomani mattina, la mamma gli spiega che il padre è partito per qualche giorno, che Gersumina non lavorerà più da loro e che lei andrà a stare una settimana dai nonni. Michelino si sente preso dal panico: “E io?”, chiede con voce tremante. Lui andrà a dormire a casa di zio Stefano, dove c’è la cugina Marietta, una sedicenne che “a malgrado che parisse fimmina fatta, con Michilino ci stava spisso e ci parlava e certi voti si metteva a jucari con lui squasiche fosse una picciliddra”…
In una cittadina siciliana di provincia, durante gli anni del massimo consenso al regime di Benito Mussolini – che proprio in quei mesi sta conquistando l’Etiopia, coronando l’effimero sogno dell’Africa Orientale Italiana –, un ragazzino superdotato che a ogni discorso del Duce sentito alla radio ha vistose erezioni vive una serie di avventure apparentemente boccaccesche. La cugina adolescente si fa toccare (e successivamente diventa l’amante prima di Michelino poi di suo padre), il parroco (che ha una relazione con sua madre) lo palpa, un professore lo violenta con la scusa degli Spartani, una vicina di casa si fa masturbare da sotto il tavolo e così via. Sembrerebbe una sceneggiatura di Tinto Brass – anche per l’estetica anni ’30 – o un classico della commedia sexy all’italiana, eppure La presa di Macallè, romanzo davvero bizzarro che i fan di Camilleri amano o odiano, senza vie di mezzo, è qualcosa di assolutamente diverso e molto meno rassicurante. Le vicende della famiglia Sterlini, dapprima farsesche e via via sempre più drammatiche, hanno ben poco di gioioso o vitalistico. Michelino è un vero e proprio mostro: e non certo per la sua anomalia fisica, bensì per la sua spietatezza, per la sua fascinazione per la morte, per la sua adesione zelante alla propaganda di regime. Altro che sesso, dunque: in questo bildungsroman in salsa vigatese – scritto come di consueto in una scoppiettante lingua inedita a metà strada tra l’italiano e il siciliano – ad avere il sopravvento sono la violenza e la politica. “Vuautri òmini siti tutti una cosa fitusa”, sì: ma soprattutto in quello che c’è oltre la semplice rapacità sessuale. In una lunga intervista contenuta nel libro di Gianni Bonina Il carico da undici (Barbera, 2007), Andrea Camilleri parla dell’accoglienza ostile riservata dalla critica a questo romanzo, e afferma: “Qualcuno l’ha preso per un romanzetto erotico, anzi c’è stato chi l’ha addirittura classificato come pornografico. Una cantonata inspiegabile o troppo facilmente spiegabile. Ne sono rimasto, lo confesso, profondamente offeso”. La vera offesa (ma all’intelligenza) secondo noi è che qualcuno non comprenda che le avventure di Michelino – tra l’altro mica tutte a sfondo erotico, anzi, come dimostra il sanguinoso finale del libro – hanno un carico simbolico, raccontano qualcos’altro, vanno lette in trasparenza.