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La Resistenza a Roma

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Roma, 18 luglio 1943. Dagli aerei americani cade una pioggia di volantini sulla città. Si chiede ai cittadini di allontanarsi dalle case: stanno per bombardare. Il giorno seguente, un’altra pioggia di carta, un altro avviso che intende dire “facciamo sul serio”. Alle ore 11 e 03 a cadere non sono più i volantini, ma le annunciate bombe: 1.500 morti e 4.000 feriti nei soli quartieri di San Lorenzo e Pigneto, divisi tra di loro dallo strategico Scalo ferroviario obiettivo del raid aereo. Il bombardamento assale l’Urbe fino ad ora ritenuta inviolabile ma che adesso né il Re, né Mussolini possono salvare. All’improvviso sembra arrivata la fine di un’illusione trasformata in farsa che si sta concludendo in tragedia. In poche ore cala il sipario sulla buffonata del “Glorioso Impero secolare” e sull’inviolabilità dei Patri Cieli. Il Re viene informato che la guerra è persa, così il 25 luglio pensa bene di fare arrestare il Duce, dopo che il Gran Consiglio del fascismo lo ha “dimesso”. Ma non è finita. Per Roma il peggio deve ancora arrivare… sarà un amaro risveglio per i romani convinti che con la fine del Regime sia finita anche la guerra. A combinare il capolavoro ci pensano quei due geni di Badoglio, nuovo capo del governo, e del Re, “Sciabboletta”. “La guerra continua” è il comunicato, guai a chi si sottrae. Tra quel 25 luglio e l’8 settembre, di fascisti in giro neanche l’ombra. Nel frattempo Badoglio ha firmato segretamente l’armistizio con gli americani. “La guerra continua (per voi intende dire, ndr) a fianco dell’alleato angloamericano” annuncia stavolta con un voltafaccia ai tedeschi, ma non prima di essersi messo al sicuro nei territori liberati insieme al suo degno compare di fuga, “Sua Maestà”. I tedeschi –giustamente incazzati neri-, corrono ad occupare la Capitale dopo avere liberato Mussolini e averlo portato con loro al Nord. Aiutati da uomini e donne civili, i Comandi militari rimasti senza ordini tentano di difendere la città: alla Magliana, a Porta San Paolo, a Porta Metronia, sulla Via del mare, alla Borgata Laurentina, alla Montagnola… A difendere Roma ci provano i romani: nella sola sera del 10 settembre, i morti sono già 47. Perderanno la vita altri 600 nelle ore a seguire. Quando i tedeschi avranno ormai occupato la città, il bilancio salirà vertiginosamente tra rappresaglie, caccia ai “banditen”, gli eccidi delle Fosse Ardeatine, di Forte Bravetta, de La Storta… le Leggi razziali saranno applicate sul serio stavolta: ebrei, rom e sinti subiscono la delazione di civili che ambiscono alla ricompensa per le loro soffiate e a sottrarre il patrimonio ai deportati. A fare le spiate saranno spesso delinquenti comuni imbottiti di cocaina ed esaltati nel torturare, come i membri della “Banda Koch”. Solo a Via Tasso, tempio del sadismo folle, passeranno 2.000 persone. Ma i romani hanno la testa dura, se non hanno armi per sostenere un confronto vis a vis, la “zaccagnata” te la infliggono a sorpresa, appena ti distrai. E ai tedeschi faranno vede’ li sórci verdi…

Scritto al tempo presente seguendo l’incalzare degli eventi come in un film di Carlo Lizzani, La Resistenza a Roma ha l’incedere avvincente di una pellicola di cronaca e azione. Riportando ora e data dei fatti nel loro dipanarsi e nel loro incrociarsi in parallelo, ricorda nella forma narrativa Banditi a Milano (1968, Lizzani appunto), la cui formula sarà adottata da Quentin Tarantino in più di un’occasione… lo so, tematicamente sarebbe più ovvio il parallelismo con Achtung! Banditi! (1951, sempre Lizzani), ma l’impianto decisamente poco didascalico fa propendere più per il primo film, anche se non tratta di guerra o Resistenza. Scevro da toni accademici pedanti, asciutto e senza fronzoli, questo Saggio risulta efficacie e centrato sul tema. Dimostrando peraltro che il genere del trattato storico può funzionare anche come intrattenimento senza scadere nel commerciale o nel romanzato. Quasi una telecronaca al cardiopalma invece. “Orazione civile” viene definito il libro nel sottotitolo, eppure lo stile di scrittura è da cronisti di guerra: cronisti di razza peraltro. Un ritmo serrato che va dal 18 luglio ’43 al 5 giugno ’44. Niente prediche da “Orazione civile”, nessun indugio sulla retorica dei mali dell’Umanità. Fatti, fatti e ancora fatti. Curioso e sorprendente poi che uno dei due autori, Silvano Falocco, nella vita si occupi di tutt’altro: di ecosistemi e di sostenibilità ambientale fondamentalmente. Ha infatti all’attivo due pubblicazioni di diverso tenore: Acquisti sostenibili e Contabilità ambientale. Carlo Boumis invece insegna lingua e letteratura italiana e ha già pubblicato il racconto Scheria e un saggio su Leonardo Sciascia (sia i titoli di Falocco che quelli di Boumis sono stati pubblicati per Le Commari Edizioni). Che dire? Un bell’incontro di penne e pensiero: c’è da augurarsi che abbiano in cantiere ancora qualche altro progetto. Bello come questo magari…