
Ottobre, è domenica e sono tutti in chiesa per la Messa di mezzogiorno. Un rito e insieme un passatempo per le due cugine adolescenti che si divertono a osservare i presenti, spettegolare e ridacchiare. Le donne benestanti emanano un profumo forte, piacevole che fa contrasto con l’odore caprino dei contadini e si mescola all’incenso spruzzato durante la funzione. All’improvviso, nel momento dell’Ite, Missa est, Sara lancia un grido che attira l’attenzione. È consueto per lei, con la sua salute delicata e il suo carattere dispettoso, mettere in allarme le persone, spesso per gioco, per un nonnulla, ma il medico che è presente nota il suo pallore e le dà alcune gocce per calmarla. Perché quel grido e lo sguardo stralunato? Sara dichiara di avere visto un uomo che non “era come gli altri” e secondo lei sembrava San Giuseppe, ma non aveva la barba. Con voce bassa e estatica lo descrive bello, pallido e con gli occhi azzurri, suscitando sia l’interesse del parroco don Aurelio sia le risate di scherno di alcuni. Le domande diventano incessanti per verificare l’attendibilità della visione e alla fine sia Sara che il parroco ne sono certi. Un evento inaspettato che cambia l’atteggiamento della ragazzina, così durante il tragitto verso casa fa alla cugina che l’accompagna promesse di ravvedimento e giura che da ora in poi si comporterà bene. I genitori, Rodolfo e Ausonia, sono stati già raggiunti dalla notizia e la aspettano sulla soglia, lividi e minacciosi. Entrambi le si avvicinano e la picchiano con forza, poi le urlano contro il loro biasimo, definendola una farabutta, una demente. Sara deve vergognarsi perché ha portato il disonore nella famiglia e da ora in avanti nessuno di loro avrà il coraggio di guardare in faccia i compaesani a causa della sua ignobile menzogna. Silenziosa, remissiva, molto diversa dal solito, la ragazza non reagisce, non grida, non dà di matto, ma lentamente e con dignità si avvia nel cortile, per rifugiarsi nel vecchio forno in disuso...
Il ritrovamento di manoscritti inediti e opere incompiute esercita sempre un certo fascino su chi ne entra in possesso. Le variazioni di scrittura, le annotazioni personali, le frasi cancellate aprono un collegamento con i pensieri dell’autore, che non è più presente per dare le sue risposte, così quelle risposte possono essere recuperate tramite l’opera che ha lasciato. La casa editrice de Le Commari ha avuto la sua bella avventura nel portare ai lettori quest’ultima opera della compianta scrittrice e giornalista originaria di Castelsardo, Leila Baiardo. Un testo ritrovato per caso e poi perso, con tutto il rammarico che ne è seguito, per poi trovare con la medesima sorpresa un’altra copia e stavolta riuscire a trasformarla in un libro. Il romanzo La santa offre diversi spunti di lettura e se inizialmente la storia ha un punto di partenza religioso, nel corso della narrazione il lettore si confronta con tanto altro: la turbolenza e le ansie dell’adolescenza, i rapporti familiari spesso ricchi di conflitti, le difficoltà di comunicazione tra genitori e figli, il desiderio di essere accettati e capiti, la necessità di trovare il proprio posto nel mondo e saper fare la scelta giusta, apprezzare la forza e il valore di un legame intenso come quello tra cugine, sorelle e amiche. Non è semplice la vita in una piccola comunità, che può mostrarsi di volta in volta diffidente, opportunista, incline al pettegolezzo e a un giudizio superficiale. Alla fine è la stessa protagonista di questa bizzarra storia, l’irrequieta Sara, a trovare da sola le risorse per rimettere tutto nella giusta prospettiva. La Baiardo sonda con occhio attento le dinamiche della vita in un paesino dell’entroterra sardo e quanto sia importante il legame con la ritualità religiosa anche da parte di chi si considera laico (l’appartenenza alla comunità prevale su tutto), quanto conti apparire perbene e non dare materiale per scatenare pettegolezzi, l’onore prima di ogni cosa, con tutto il carico di ipocrisia che ne consegue: “C’è l’esigenza di sembrare come tutti, di non dar adito a sospetti di diversità e di superiorità, pur essendo, e paradossalmente sembrando, diversi e superiori a tutti. Un’impresa logorante e a volte impossibile”. Lo stile della Baiardo, pur narrando momenti drammatici e di tensione, riesce a mantenersi ironico e elegante, lasciando intuire un finale sorprendente, che di certo non deluderà il lettore.