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La seconda lettera - Corrispondenza con un condannato a morte

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Ci vuole coraggio a dedicare il proprio tempo libero ad un condannato a morte; ci vuole coraggio ad affidare la propria fiducia ad un uomo condannato nel 1987 per omicidio, e possibile stupro, di una minorenne in una tranquilla ma non troppo area urbana della Florida. Ci vuole coraggio ad accettare la sua versione dei fatti, a essere disposto a credergli e ad ascoltarlo. Laura Bellotti decide di farlo, dopo una vita trascorsa a fare la traduttrice, inizia a collaborare con un’associazione italiana di volontari, la Comunità di Sant’Egidio, e diventa amica di penna di James Aren Duckett, ex poliziotto, una giovane recluta, ultimo ad aver visto e parlato con una giovane tredicenne uscita di casa alle 22 per comprare una matita e ritrovata morta il giorno dopo. Laura tentenna all’inizio, è normale: non sa cosa l’aspetta, non sa chi avrà di fronte, anche attraverso un foglio; sono molte le paure che accompagnano le dita sulla tastiera, che spingono i suoi pensieri. Di colpo si ritrova in un mondo fatto da 6mq di cella, 2 x 3, 24 ore su 24, 365 giorni su 365, da oltre ventiquattro anni! Un mondo fatto di privazioni, di regole, di molti divieti, di accorgimenti, di caffè liofilizzato di pessima marca, bevuto per lo più freddo. Jim, così lo chiamano in carcere, ha perso la fiducia della moglie che ha divorziato ed ha due figli che non vogliono più vederlo. Eppure spera che sia fatta giustizia, perché lui non è quel mostro che tutti si sforzano di descrivere: è innocente, una professione di fede comune nel braccio della morte, ma per lui è vero. E lo dimostrerà, dovesse impiegarci tutta la vita, o almeno quello che gli resta. Il dramma è che non sa quanto gli resta ancora da vivere, dato che l’esecuzione potrebbe abbattersi su di lui da un momento all’altro. Ma cosa ha ancora da perdere?

Laura Bellotti mette insieme le numerosissime lettere scambiate con questo detenuto speciale, un poliziotto che si ritrova condannato a morte, in uno degli Stati americani più severi nelle esecuzioni capitali. La testimonianza diretta del condannato è tanto più preziosa perché vissuta in un clima di stridente ottimismo, fra processi sommari, anche dei media, e quasi oblio di chi li sbatte nella cella e butta via la chiave. Ma è anche un prezioso ed inquietante reportage che denuncia la “banalità del male” di chi assiste alle esecuzioni per il gusto della notizia, delle privazioni di umanità che i detenuti subiscono in quei lunghissimi giorni, mesi, anni che li dividono dal momento finale. Facendo ricorso alla sua competenza di traduttrice professionista, ogni passaggio è commentato con riferimenti puntuali, tradotti, dalle sentenze e dalle leggi americane, particolarmente minuziose nel prevedere tutti i casi possibili per impedire al condannato di farla franca. Un sistema cavilloso che a tratti ricorda i castelli kafkiani, i gulag ed i campi di sterminio, dove si acquisisce la condizione di “caso” e si perde ogni sorta di umanità.