
In quella sera di metà gennaio l’aria è fresca, ma Rita si concede lo stesso un momento sul terrazzo di casa sua. La pochette che ha con sé ha l’unico scopo di nascondere le sigarette, Rita ha ricominciato a fumare da poche settimane. Poche luci nel palazzo davanti le permettono di rubare con lo sguardo attimi di vita dei suoi vicini, mentre i suoi polmoni si riempiono e si svuotano di fumo. Rita si toglie le scarpe per rientrare, perché è notte e non vuole svegliare Ester, la governante, e allo stesso tempo spera di non portare con sé tracce dell’odore di tabacco, perché non ha le forze di discutere col marito. La grande villa anni Settanta in cui abita l’ha ereditata dai genitori, ma è troppo grande per due persone che già sono lontane: sposati da quasi vent’anni, il loro matrimonio è sempre stato caratterizzato da un distacco quasi nobiliare, visto che Manuel fa parte dell’alta società, ma nel tempo quel distacco si è trasformato in un baratro insanabile, fatto di sospetti e tradimenti. Lui non è ancora rientrato, come al solito. Il suo lavoro di avvocato lo tiene fuori casa anche la notte e Rita ormai fa finta di credere a questa storia da anni. Rita è una stimata psichiatra, adottata da piccola col fratello Alberto da una famiglia che l’ha amata tantissimo. Del suo passato prima dell’adozione non ricorda molto, solo alcuni flash. In quella sera di metà gennaio in realtà il suo pensiero va ad altro: si chiede perché il suo collega Giacomo Staino gli ha chiesto di presenziare a una sessione di ipnosi regressiva su un paziente, che pare sia d’accordo con l’accettare la presenza di un’estranea in un momento così delicato…
Oltre alla storia della protagonista, ci sono varie sottotrame; per esempio, più andiamo avanti e più il personaggio di Giacomo Staino acquista spazio, insieme a quello di un misterioso uomo, la cui identità ci sarà svelata alla fine. Nel testo sono presenti argomenti di interesse attuale, come l’omosessualità, la malattia mentale, la dipendenza da gioco e il femminicidio, sebbene non siano trattati con la profondità che temi tanto delicati meritano. Sul tema del femminicidio, in particolare, alla fine del libro è presente una lunga lettera scritta dal carnefice che sembra in tutto e per tutto una (auto)giustificazione del suo gesto. Sebbene il tema centrale della lettera-confessione dovrebbe essere la malattia mentale che lo ha spinto a commettere un omicidio, per la funzione che acquisisce nella storia e per come viene presentata, suona più come un’apologia del carnefice, che poi è uno dei principali problemi della narrazione dei femminicidi oggigiorno. Per quanto riportare il punto di vista dell’omicida sia difficile, nella letteratura esistono esempi virtuosi di questa impresa: il primo che mi viene in mente è Il lavatoio di Sophie Daull, che nel libro fa parlare l’assassino senza trasformarlo in una vittima. Altri problemi che si riscontrano nel libro di Anna Verlezza riguardano la coerenza di alcuni passaggi, probabilmente a causa di un editing frettoloso: ci sono cambi di punti di vista non regolati da un cambiamento della veste grafica del testo, che potrebbe far intuire al lettore un cambio di focalizzazione. Ma anche: le primissime parole del libro ci fanno intuire che la storia si sta svolgendo al mattino (“Quando Rita aprì la porta del terrazzo era ancora frastornata da pensieri inconsistenti, immagini notturne a dissoluzione immediata alle prime luci del sole”) mentre poche righe dopo le vicende sembrano avvenire di notte (“l’aria fredda della sera scompigliò i capelli di Rita.”). Di esempi di questo tipo ce ne sono molti e costringono il lettore a chiedersi se quello che ha letto è corretto e tornare sul testo più volte, per cercare una coerenza che un editing più accorto avrebbe assicurato.