
La morte spiazza sempre, non si è mai pronti. Aureliano Soriano si spegne quasi improvvisamente, anche se la fine era palesemente in agguato, lasciando il figlio Davide in una casa, la “casa gialla” ai piedi del lago, piena di ricordi difficili da sistematizzare. Aureliano del resto è stato un fiume in piena di piccole e grandi cose sagge da ricordare: Davide rivede in ogni oggetto appoggiato in quella casa tracce delle chiacchierate, delle piccole e grandi intimità scambiate quasi per caso con suo padre negli anni. La saggezza del padre, la presunta saggezza, è quella di un uomo disgregato al quale, da filologo, affibbia il significato di gregge disunito: eppure Davide capisce che è quella saggezza che ha tenuto insieme quella famiglia, anche la madre, ormai divorziata e a Roma, che comunque accorre per l’ultimo saluto, segno che il legame non si era mai del tutto spezzato. Anzi, è ancora viva la gelosia per quelle donne che gliel’hanno sottratto. Per questo per Davide non è facile chiudere la “casa gialla”, spogliarla della vita di cui si è arredata. Non è facile scegliere cosa portare nel suo appartamento a Milano, perché tutto lì ha un senso e sembra averlo soltanto lì. Infatti dopo la sua morte sente il bisogno di lasciare il vecchio bilocale condiviso con l’amico, per ritrovarsi nella casa paterna e lasciare che il padre si rigeneri dalle acque dello stagno. Avvertita la ex compagna degli ultimi anni di vita del padre, Sonja, che lascia la casa senza obiezioni, riprende la frequentazione di quella “casa gialla”, l’unico posto dove alla fine veramente sente di essere veramente vivo e dove continua a vivere il ricordo del padre...
Pier Mario Fasanotti è uno scrittore elegante, nitido, anche lineare nella costruzione della frase: questa chiarezza si riflette al contrario nella costruzione della sua storia che per converso ha una trama fitta di divagazioni, una trama che esplode e viaggia alla deriva come la barca che salpa dal porticciolo senza una meta precisa, ma che alla fine arriva in un porto, proprio in quel porto in cui il nocchiero voleva portarla fin dall’inizio. La storia di un’intera famiglia non è raccontata come una banale saga, ma come la costruzione quotidiana di tanti episodi che sembrano distrarre il lettore, per poi appoggiarsi di nuovo nell’unico posto possibile, il posto giusto. Una storia fatta di piccole cose evocatrici, parole appuntate, citazioni per romanzi, che però sono il tessuto forte di un’esistenza. Per questo la narrazione è sicuramente affascinante, l’affabulazione lega il lettore non alle cose ed agli episodi, piuttosto ai sentimenti sinceri, all’affetto sincero che un figlio ha per il padre, anche per il peggiore dei padri, nonostante Aureliano non fosse uno di questi. È il romanzo di un figlio che rivive il padre capendo solo dopo la sua morte quanto sia stato importante, quanto si riesce a fare anche senza un’apparente esplicita intenzione. Della scrittura di Fasanotti non mi convince la ricercatezza delle citazioni, molte implicite, a volte quasi sfacciamente forzate, che però il lettore perdona di fronte alla forza narrativa di un racconto genuino.