
Il primo febbraio 1499 fallisce a Rialto la banca più importante di Venezia. È un periodo difficile per la Serenissima, che non riesce a rifornire la popolazione del grano necessario per sfamarsi. Il grano difatti arriva per mare e la città con la propria flotta è impegnata nella guerra contro gli ottomani. Ma questa non è l’unica guerra che la città sta combattendo, nello stesso periodo la Serenissima è impegnata contro Firenze e la posta in gioco stavolta è il predominio sulla città di Pisa. I banchi veneziani si concentrano attorno al ponte di Rialto. Sono strutture piuttosto semplici composte da ante in legno la cui parte superiore si ribalta e fa da banco al banchiere che vi stende sopra un tappeto orientale che serve ad attutire il tintinnio delle monete e a rappresentare la ricchezza del proprietario. Sul banco si trova un contamonete in legno e per terra ai piedi del banchiere c’è sempre un sacco ripieno di monete. Il banchiere è vestito riccamente perché deve essere immediatamente riconosciuto e non suscitare dubbi sulla sua solvibilità. Quelli veneziani sono banchi “da scritta” e servono ad agevolare le transazioni commerciali evitando l’uso del contante. In pratica quando i mercanti decidono una compravendita vanno dal banchiere e questi trasferisce una somma da un conto all’altro nei libri mastri. La transazione si compie a voce. È una giornata particolare quella del 1° febbraio 1499, a fine gennaio si scatena la corsa al prelievo: tutti vogliono indietro i soldi. In una settimana vengono ritirati 130 mila ducati, i soli fiorentini se ne riprendono 40 mila. L’esito fatale è ineluttabile: salta il banco. La faccenda è rilevante, rilevantissima, tanto che viene seguita praticamente in diretta da Cristoforo Lattuada, ambasciatore del duca di Milano che così annota in un dispaccio inviato a Ludovico il Moro: «Questa matina el banco di Garzoni, quasi primo banco di questa terra, è fallito»…
Alessandro Marzo Magno, giornalista e storico veneziano di nascita, dedica un saggio alla città di Venezia focalizzando però la ricerca ad un periodo circoscritto nel tempo, un periodo di undici anni in cui la città cessa di essere una potenza militare per divenire una città egemone dal punto di vista culturale. Lo storico evidenzia che l’analisi da egli compiuta ha inizio e termine da due sconfitte subite dalla Serenissima: l’una, la battaglia di Zonchio del 1499 e l’altra la battaglia di Agnadello del maggio 1509. Le pesanti sconfitte subite nell’arco di quel decennio dalla città hanno fatto sì che svanissero le velleità espansionistiche di Venezia come potenza militare mentre fiorivano al contempo elementi determinanti di dominio culturale della città nell’intera Europa. Nel decennio delle sconfitte Venezia fu patria di pittori, orefici, stampatori e abili artisti che la resero immortale facendola divenire una splendida capitale trionfante sulle altre nel campo delle arti, dell’architettura e delle celebrazioni nelle ricorrenze civili e religiose. È questa la tesi dell’autore, che pone dati a confronto per concludere che al termine del decennio iniziò con lentezza e magnificenza il declino di una delle città più famose al mondo.