
È un giorno di gennaio freddo e nevoso. Eva si annoia: la mamma sta correggendo dei compiti e ha chiesto di non disturbarla, il papà sta scrivendo a un amico che non sente da moltissimi anni, il gatto non si trova, chissà dov’è. Alla bambina non rimane che esplorare casa sua, quella casa che ancora non conosce bene: la sua famiglia ci si è trasferita soltanto l’anno scorso, quando il nonno e la nonna hanno deciso di andare a vivere in un appartamento più piccolo. Questa invece è una casa grande, ha persino un solaio. È quella la stanza preferita di Eva, perché è piena di oggetti misteriosi e quindi è proprio là che sale la bambina. In un angolo ci sono vecchi giocattoli: “una trottola sbilenca, dei cubi di legno e dei soldatini, (…) bambole pasticciate, un orsetto senza gambe e un vestitino di pizzo”. In un grande armadio scuro Eva trova “vecchie fotografie, lettere e documenti”, ma soprattutto trova una strana scatolina di ferro un po’ arrugginita. Cerca di aprirla, ma non ci riesce. In un grosso cestino raccoglie un cacciavite, con quello fa leva sul coperchio della scatolina, alla fine si apre. Contiene una vecchia foto, un dente e una stella di stoffa marroncina…
Guia Risari, apprezzata e pluripremiata autrice di numerosi libri per ragazzi (ma non solo), non è nuova alla tematica dell’Olocausto. L’ha affrontata nei suoi scritti su Giorgio Bassani, Jean Améry e Piotr Rawicz. L’ha approfondita alla Leeds University, dove si è specializzata in Modern Jewish Studies con ricerche su Saadia, Maimonide, Mendelsohn, Rosenzweig, Lévinas, Jabès, Rawicz, Bauman, Rose e una tesi di M.A. sull’antisemitismo italiano. In questo La stella che non brilla sceglie di raccontarla in modo ellittico, insolitamente indiretto: in un normale, rassicurante contesto borghese irrompe la memoria della Shoah grazie al fortuito ritrovamento di una bambina e alla sua innocente curiosità. Il nonno della bambina le racconta la storia di suo padre, deportato nei campi perché ebreo e tornato vivo ma irriconoscibile. Muto, magro come uno scheletro, con un dente come unico ricordo di un amico meno fortunato di lui. Ma i particolari su questa storia terribile sono pochi, e tutti di seconda mano. L’autrice lavora per sottrazione, senza “appoggiarsi” a immagini forti o a eventi spaventosi. Tra queste pagine non c’è l’orrore, ma solo la commozione del ricordo, il senso di smarrimento che si prova di fronte al Male. Il testo – brevissimo – è impreziosito dalle mirabili illustrazioni della talentuosa illustratrice e pittrice romana Gioia Marchegiani, che non si limita ad accompagnare la storia della Risari ma omaggia una decina di celebri opere d’arte dedicate alla Shoah. In appendice un paio di pagine con informazioni storiche su fascismo, nazismo, Seconda guerra mondiale e Olocausto.