
Un giorno di gennaio del 1941, un soldato tedesco si aggira ubriaco per le vie del quartiere San Lorenzo, a Roma. In cerca di un bordello, si imbatte in Ida Ramundo, vedova di Alfio Mancuso, morto della “malattia del secolo”, come Iduzza chiama il cancro che ha stroncato la vita di suo marito. Ida è la madre di Nino, giovane scapestrato e irrequieto, e fa l’insegnante. Di madre ebrea, vive in uno stato di continuo allarme: dall’adozione delle leggi razziali del 1938 da parte del regime fascista è paralizzata dalla paura di chi nasconde un’onta. Il soldato le porta la sporta della spesa fino a casa e lì la violenta. Poi s’imbarca su un convoglio e trova la morte sul Mediterraneo, durante un attacco nemico. Durante la gravidanza, la guerra si allarga al fronte russo e Ida è costretta a far nascere il suo Useppe in clandestinità, aiutata da una levatrice ebrea. Dopo la partenza del primogenito Nino per il fronte, Ida e Useppe sopravvivono al bombardamento di San Lorenzo, rifugiandosi a Pietralata. Poi trovano ospitalità dai Marocco, una famiglia di ciociari, nel quartiere Testaccio. Dopo essere scampati a tutte le vicissitudini di quegli anni, la tragedia finale si consuma a guerra finita, nelle due stanze dell’appartamento preso in affitto da Iduzza...
Nell’anno della sua uscita, La Storia riscosse immediatamente un enorme successo popolare, raggiungendo le seicentomila copie di tiratura. Nei tempi in cui si faceva un gran parlare di rivoluzione, negli anni degli espropri proletari, di Lotta Continua, delle piazze gremite, della “propaganda armata” delle Brigate Rosse, il romanzo non mancò di suscitare un dibattito politico infuocato. La critica si concentrò sul suo messaggio ideologico, suscitando un gran polverone, che produsse un’enorme quantità di recensioni, interventi, polemiche. La storia raccontata e vista dalla parte degli oppressi, delle vittime che la subiscono, venne interpretata da una parte come atto di protesta, dall’altra come una speculazione. A noi che lo leggiamo a distanza di quarant’anni, questo capolavoro di Elsa Morante offre più modestamente la possibilità di vivere da vicino un pezzo di Storia, appunto. Raccontato con lo stile di una cronaca di quartiere, nasce da un fatto riferito nelle pagine di un quotidiano romano due anni dopo la liberazione dal regime fascista. Un semplice fatto di cronaca che il talento dell’autrice, la sua capacità inventiva, la sua fertile immaginazione e la sua intelligenza narrativa trasformano in un romanzo corale. E storico, perché la Storia vi è ampiamente rappresentata, non solo nelle digressioni, nei luoghi, ma anche nelle vite dei personaggi che la attraversano e negli avvenimenti che li travolgono. Restituendo al lettore, come marcato col fuoco, l’orrore della guerra, il senso di solitudine, insieme alla meraviglia di comprendere l’incoscienza di chi ha dovuto viverla suo malgrado.