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La storia di Mary Jones

La storia di Mary Jones

Silver è morto e non credevo di poter versare così tante lacrime. Ho pianto come una bambina e in effetti, quando arrivai alla locanda “Il cannocchiale”, ero praticamente una bambina, una ragazzetta di dodici anni senza né arte né parte. Ho scelto di voler scrivere di lui, e di tutto ciò che è accaduto in quel periodo in cui strane figure si aggiravano per la locanda, ma ho scelto di voler scrivere anche di me e di Dolores, la sua compagna di colore, schiava affranchè che si è rifatta una vita dall’altra parte dell’oceano come infaticabile locandiera. Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui ho messo piede per la prima volta a Bristol; fu mia sorella a dirmi di andare lì e io ci andai. Cercavo un lavoro e, bussando alla porta della taverna “Il Cannocchiale”riuscii a trovarne uno. Oggi come allora c’è Dolores, che col suo accento creolo non smette di farmi sorridere ma non c’è più John Silver, un uomo che già all’epoca attirava su di sé un alone di mistero e terrore, grazie alle numerose leggende o verità che circolavano sul suo conto. E poi quella gamba mancante, mozzata di netto subito dopo l’anca, che ogni giorno alimentava voci diverse…

A separare la Scozia, patria di Robert Louis Stevenson, dalla Svezia, paese natale di Elin Boardy, ci sono circa ‒ Google Maps alla mano ‒ 1500 miglia, più o meno la distanza che passa tra L’isola del tesoro, caposaldo della narrativa d’avventura e questo suo prequel scritto ben 131 anni dopo (la prima edizione è infatti del 2014). Intendiamoci, nessuno si aspettava di poter trovare fra queste pagine qualcosa in grado di rivaleggiare con il capolavoro dell’autore scozzese, ma nemmeno l’operazione tributo/revival è particolarmente riuscita. I personaggi de L’isola del tesoro, ad eccezione di Long John Silver, bucaniere con una sola gamba e con il fedele pappagallo Flint sempre sulla spalla, appaiono e scompaiono in questo libro con l’incisività di semplici camei, e ci si chiede come mail l’autrice abbia voluto cimentarsi in un prequel così scomodo quando avrebbe potuto tranquillamente scrivere un’altra storia. Elin Boardy infatti dimostra di saper padroneggiare la scrittura, e la scelta di raccontare una versione al femminile del romanzo di Stevenson poteva anche sembrare una buona idea, con la giovane Mary Jones, cameriera tuttofare alla locanda “Il cannocchiale” e Dolores, compagna di colore di Silver, a fungere da personaggi centrali. Tuttavia il problema principale risiede proprio nei personaggi ritratti, con la sola Dolores a risultare un character incisivo e a tutto tondo, munito di un background interessante e con risvolti caratteriali sempre godibili. Decisamente scontata è invece Mary, che con il suo diario è la voce narrante della vicenda, una voce decisamente monocorde che non presenta né sussulti per le losche attività della locanda, né passione per l’amore (anch’esso rigorosamente al femminile) per Agnes, né particolare struggimento per i soprusi subiti. Al netto dei difetti nella caratterizzazione dei personaggi, La storia di Mary Jones ha comunque il pregio di rendere visivamente l’ambiente descritto, sia esso incarnato dalla piovosa cittadina di Bristol o dalla lussureggiante isola Hispaniola. Probabilmente meriterebbe la sufficienza, ma richiamare un così importante predecessore attira inevitabilmente onori e oneri e in questo caso gli oneri non sono stati adempiuti in maniera tale da attirarsi anche gli onori.