
Estate 1969. È il periodo storico ma è anche il titolo di un libriccino, autore Giangiacomo Feltrinelli, in cui si discute della reale possibilità che in Italia si possa verificare un colpo di stato. In coda una citazione a tratti inquietante, dello scrittore greco Vassili Vassilikos, che inizia così: “Anche noi non credevamo che in Grecia fosse possibile”. Pochi mesi dopo, il 12 dicembre, esplode una bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura in piazza Fontana a Milano, lì, sotto al tavolo posto al centro della sala aperta al pubblico. Diciassette morti, tredici sul colpo, gli altri dopo giorni, settimane e immani sofferenze, centinaia i feriti. Le vittime: Giovanni Arnoldi (42 anni), Giulio China (57), Eugenio Corsini (65), Pietro Dendena (45), Carlo Gaiani (37), Calogero Galatioto (37), Carlo Garavaglia (71), Paolo Gerli (45), Luigi Meloni (57), Vittorio Mocchi (muore a 47 anni nel 1983, dopo un lungo calvario, per i postumi delle ferite), Gerolamo Papetti (78), Mario Pasi (48), Carlo Luigi Perego (74), Oreste Sangalli (49), Angelo Scaglia (61), Carlo Silva (71), Attilio Valè (52). Don Corrado Fioravanti si salva grazie a una colonna che gli finisce addosso, facendogli da scudo. “C’era gente che bruciava. Gente che si rotolava a terra in fiamme. Uno scempio. Uno scempio. Mi è venuta incontro una ragazza senza un braccio. Con l’altro mi ha tirato la tonaca: “Padre, ci aiuti”. Altri mi hanno tirato la veste. Uno gridava: “Non sento più la gamba!”. Infatti, non ce l’aveva più”. Queste le sue parole agghiaccianti. C’è chi è sopravvissuto a due guerre, è quella maledetta bomba a strappargli la vita. La domanda che tutti si pongono è una e una sola, chi? Chi ha potuto compiere tutto questo? Serviranno anni di indagini e inchieste giudiziarie, un percorso lungo e tortuoso, fatto di coincidenze, tasselli che non tornano e che rispunteranno fuori dopo tempo, rivelazioni e colpi di scena. Come e perché è accaduto tutto questo?
“Questo è il racconto di come alcuni degli uomini più feroci del terrorismo italiano siano sfuggiti alla giustizia. Di come il loro disegno sia stato smascherato e sia fallito, almeno nelle parti estreme – il golpe, l’instaurazione di un regime autoritario –, senza però che quasi nessuno, chi l’ha ideato, esecutori di stragi fra le peggiori della nostra storia, abbia dovuto risponderne”. In cosa consista questo saggio è spiegato all’inizio in questo modo dagli stessi autori. Non si tratta insomma di “un’altra storia completa della vicenda tragica e spietata di Piazza Fontana e della trama da cui è scaturita” perché “vi sono ormai diverse opere esaustive sull’argomento. Non sapremmo far meglio”. Comincia così, con questa avvertenza, un percorso di ricerca accurato in cui al centro dell’analisi e del dipanarsi delle vicende ci sono movimenti di estrema destra, attivi in una porzione ben precisa del Paese, nel Nord Est, tra Padova, Venezia, Treviso, in particolare. Dianese e Bettin scandagliano documenti e fonti, si addentrano nei profili e nel vissuto di quelli che sono diventati poi negli anni protagonisti di questa stagione cupa. Si recano nelle città che li hanno visti nascere, crescere, formarsi, coltivare ideali eversivi, nei luoghi in cui si sono formati, il liceo, l’università, gli ospedali. Un lavoro certosino che punta a far emergere, se possibile, ancora con più nettezza il quadro delle vere responsabilità degli attentati che insanguinarono il Paese. La domanda che aleggia con drammatica forza è quel “chi” che quasi sentiamo rimbombare tra le pareti devastate dal tritolo nella Banca nazionale dell’Agricoltura. Anni interi in cui questo “chi” ha inchiodato un paese, un’attesa lunga e snervante che si è trasformata in un labirinto di accuse, passi indietro, depistaggi, errori, rivelazioni. Dianese e Bettin non risparmiano uno studio attento delle carte processuali e dei documenti. Obiettivo è quindi “provare a fare un po’ di luce, avere almeno ‘un atomo di verità’ in più su uno spazio specifico: quello in cui hanno agito e si sono a lungo nascosti alcuni dei suoi protagonisti principali”.