
Spiaggia di Torre Pozzella, Ostuni: una sera di settembre che pare una carezza, quando l’estate vuole passare gradatamente il testimone all’autunno. Non più quel caldo rovente, ma quel tepore che va annunciando una futura, piacevole frescura. Francesco e sua moglie, per quanto è possibile, finito il lavoro cercano di riequilibrare corpo e mente in quel luogo di straordinaria bellezza, quasi del tutto incontaminato; le persone che si attardano in spiaggia sono poche: qualche ospite del campeggio, qualche famiglia in roulotte, qualche immigrato africano del vicino centro di accoglienza. Francesco e sua moglie si dirigono coi loro asciugamani verso la bassa scogliera di sud-est, e il pensiero di lui, spesso, è sempre lo stesso: non riuscirebbe mai a stare troppo tempo lontano da Ostuni, a vivere a lungo e stabilmente in esilio dal mare, e dalla sua terra di immensi olivi e pietre bianche. Una di quelle sere in spiaggia a lui tanto care, Francesco si ritrova aggrappato agli scogli in modo innaturale: quasi seduto, l’arto inferiore destro disteso col piede proteso in acqua; la gamba sinistra è flessa sul piede, mentre le braccia contratte all’indietro sostengono il torso. Si sente come un esempio illogico di body art; le sue dita ipertese, quasi aracnoidi, non si vogliono arrendere al mare. Tutti i suoi desideri, la sua conoscenza, i suoi ricordi sembrano svanire, e la sua consapevolezza e sicurezza lasciano il posto ad una amara verità: che il nostro corpo è qualcosa di molto precario e contingente. Sua moglie lo incita a non mollare, a resistere mentre chiama il 118: suo marito è scivolato su uno scoglio, è caduto. Perde sangue dalla fronte ma è cosciente, lucido. Anche lei è lucida, nonostante lo spavento non tentenna. La sua voce è ferma. Si avvicina a Francesco senza scivolare; si inginocchia su un asciugamano piegato e si sporge appena per tamponare la sua fronte, comprimendola per fermare il sangue. Francesco pensa con tenerezza che sono ancora un bella coppia, specialmente nelle cose che contano davvero. Deve resistere, deve restare attaccato alla vita, i soccorsi stanno arrivando…
Profondamente intimo e autobiografico, il romanzo di Francesco Colizzi (psichiatra pugliese, direttore del Centro di salute mentale di Brindisi) racconta dell’incontro con il proprio Io; di una seduta psicoanalitica ideale, immaginaria, presieduta da una muta suggeritrice che spinge alla riflessione, che rimette tutto in discussione, e aiuta l’autore ad auto sviscerare i propri ricordi, desideri, pensieri, convinzioni. Quale evento, se non un forte trauma, può essere più stimolante per la riflessione? Cosa può esserci di più potente del guardare in faccia la morte per riconsiderare la propria esistenza e assumere delle nuove prospettive? Da Virgilio a Dostoevskij, da Buddha a Ho Chi Minh (per nominare solo qualcuno degli innumerevoli poeti, filosofi, scrittori, pensatori citati nelle pagine del libro) tutti sono concordi: è proprio attraverso la sofferenza che si impara a conoscere la vita, oltre ad acquisire saggezza e maturità. Occorre solo avere pazienza. Da qui appunto, il grosso lavoro del paziente, di colui che affronta. L’infermità alla quale Francesco è costretto suo malgrado, sgretola in un attimo la prima grande certezza insita in ognuno di noi: l’uomo non è immortale, il tempo è tiranno e il nostro corpo gracile e traditore, benchè ci si illuda di poterne avere il totale controllo. Ovviamente è solo l’inizio di un’analisi a tutto tondo, che mescolando intensi ricordi e dettami filosofici, coinvolge tutti gli aspetti e le fasi della vita: l’infanzia, l’adolescenza, la vita adulta; l’essere prima figlio e poi padre a propria volta; l’essere marito, professionista, uomo impegnato politicamente e nel sociale. Una conversazione intima che coinvolge i vivi e i morti, il presente e, soprattutto, il passato, nell’attesa della rinascita dopo la fine della riabilitazione. Diviso in trentotto brevi capitoli, La suggeritrice racchiude in sé tutto il sapere dell’autore: non è proprio una lettura distensiva nella sostanza, anche se la sua forma è affascinante, grazie ad una scrittura estremamente elegante, forbita ma non in maniera eccessiva.