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La terra, il cielo, i corvi

La terra, il cielo, i corvi

Marzo 1943. Attilio e Werner, soprannominato Fuchs, la Volpe, fuggono dai monasteri delle isole Solovetskij, sul Mar Bianco, gulag poi trasformato in base militare. Sono prigionieri di guerra, portati lì per scavare fossati e costruire baracche e fortificazioni. La notte dell’evasione un secondino russo, Ivàn, che si fa chiamare Vanja, tenta di bloccarli, ma Werner lo disarma, rendendolo loro prigioniero. Braccati dai militari russi, attraversano la taiga diretti a sud, in cerca dei compagni della Volpe. All’inizio i rapporti sono piuttosto conflittuali, ma presto si rendono conto che l’unico modo per sopravvivere e non cadere nella disperazione è condividere fame e rabbia. Durante la fuga vengono accolti nell’izba del vecchio Griŝa, invalido di guerra, accudito dalla moglie e dal piccolo Paŝa, il nipote. I contadini russi gli offrono un pasto caldo e un giaciglio dove dormire. Le circostanze li spingono però a cambiare meta, dirigendosi verso Segeža, dove vive Tamara, la fidanzata di Vanja. L’accoglienza della ragazza però non è come la immagina Vanja, che deluso si rifugia nell’alcool, mentre tra Attilio e la ragazza si accende la luce di una stella, e nascosti sotto le coperte si amano. Il mattino dopo riprendono la fuga, immersi nel silenzio, nella neve, in compagnia solo della terra, del cielo e dei corvi. Giunti in un villaggio abbandonato, Attilio e Vanja, con l’aiuto di Fuchs che sacrifica la propria vita, salgono su un treno merci diretto a Leningrado, unica alternativa per non essere catturati dall’esercito di predatori russi. A questo punto il destino sembra tracciato, ma...

Si, è possibile nascere una seconda volta. Non biologicamente, certo, ma nel senso di una rinascita dell’anima, del nostro “io infinito”. È questa la storia di Attilio Limonta, classe 1919, originario di un paese sui monti del lago di Como, contrabbandiere, che prima muore e poi rinasce, diventando Constantin, proveniente da un paese sulle rive del lago Vygozer. Ed è la sua storia che egli, giunto all’età di cento anni, racconta ad un giornalista. In questo fumetto, di cui Stefano Turconi ha curato immagini e colori, mentre Teresa Radice si è occupata dei testi, si legge di una storia di uomini, diversi sì per nazionalità, sono un italiano, un tedesco e un russo nel contesto della Seconda guerra mondiale, eppure così uguali nel proprio animo, fatto di crepe più che di pezzi sani. L’incomunicabilità linguistica tra di loro, che bene gli autori hanno evidenziato mantenendo parecchie vignette in lingua tedesca o russa, non impedisce un linguaggio fatto di gesti, di sguardi di intesa, anche di atti violenti in alcuni casi, nella condivisione dell’anelito alla libertà, motore e carburante del cambiamento dei soldati durante la fuga dalla prigione. Il dilemma interiore di Vanja, che avrebbe dovuto tentare di assicurare i fuggitivi all’esercito russo anche a costo della vita, si risolve con la morte. Così come Fuchs decide di andare a morire per aiutare Attilio e Vanja a fuggire. Nello svolgimento del filone narrativo molte vignette sono dedicate ai ricordi di Attilio quando era poco più che ragazzo, utili per comprendere meglio la figura del narratore. Di grande interesse poi gli stralci dei monumenti letterari inseriti nel testo, come Mario Rigoni Stern (Il bosco degli urogalli, Ritorno sul Don) e Tolstoj (I Cosacchi, Chadži-Murat, I racconti di Sebastopoli, Guerra e Pace, Sonata a Kreutzer, Resurrezione, Confessione, Anna Karénina). Il finale sorprende, ragione per cui è preferibile lasciarlo alla curiosità del lettore, ma si può anticipare che contiene un messaggio di grande impatto emotivo. Come indicato nel messaggio finale ai lettori, questa storia è certamente uno straordinario serbatoio d’umanità, un’importante lezione di prossimità dal valore salvifico.