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La Tigre

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A San Pietroburgo, nell’agosto del 1903, un’inquietante storia fa trattenere il respiro nei salotti aristocratici e nelle bettole più malmesse. Due monaci, quasi deliranti per l’orrore vissuto, sono riusciti a ritornare sani e salvi dal lungo viaggio intrapreso attraverso la Siberia. A dorso dei loro muli, raccontano di aver fatto il loro ingresso nel villaggio di Tibié, scoprendolo stranamente silenzioso e quieto, forse assopito sotto la pressante calura estiva. Ma quella tranquillità e quella pace hanno un odore ferroso, sono macchiate dal sangue del bestiame e degli abitanti, sventrati e mutilati. Cadaveri ovunque. Una cittadina distrutta: porte e finestre in frantumi, tetti divelti e pareti danneggiate, armi abbandonate per strada. Solo per un momento sono colti dal dubbio che quelle atrocità siano opera di una banda di briganti. Perché accanirsi così selvaggiamente contro un villaggio sprovvisto di ogni ricchezza, se non legna da ardere? La risposta appare di fronte a loro, ancora coperta del sangue dei bambini e delle loro madri. Enorme, imponente, una maestosa Tigre. La paranoia si diffonde, alimentata dai giornali e da quel passaparola in grado di trasformare una belva solitaria in un branco di famelici felini, prossimi a raggiungere la città. Lo zar vede sgretolarsi la sua politica economica per le terre siberiane e il desiderio di aumentare i proventi si scontra con l’esodo della popolazione rurale spaventata. Serve un cacciatore, un’abile e coraggioso figlio della Russia in grado di stanare e uccidere quell’animale dalla furia incontrollata. Come ricompensa, verrà elargito un quantitativo di monete d’oro pari al peso della tigre. Tra i valorosi giovani attirati dall’editto imperiale c’è anche un ventenne di San Pietroburgo dalla ispida barba bionda in cerca di fama e ricchezza: lui è Ivan Levoviĉ…

Questo racconto breve, di poche decine di pagine, nasce dalla penna di Joël Dicker nel lontano 2005, quando notorietà e fama erano ancora le aspirazioni di uno scrittore emergente. Il brano, presentato a un concorso letterario, fece guadagnare al giovane Joël una squalifica per dubbia paternità: una composizione troppo articolata e ben scritta per essere attribuibile ad un ventenne esordiente. Dubbi più che leciti se consideriamo lo stile semplice ma dislocato su più livelli di lettura, adoperato qui per ricalcare il ritmo della classica novella, intrisa di riflessioni esistenziali e portavoce di una morale. Le illustrazioni di David de las Heras accompagnano Ivan nella sua impresa a cavallo, al galoppo tra i boschi, imbracciando il suo fucile. Immagini pulite e semplici che richiamano lo stile dei libri illustrati per bambini ma che sono impiegati per comunicare terrore, dolore, incertezza. Mentre Ivan ricorre e cerca di stanare la sua fiera selvaggia, si respira l’atmosfera delle antiche cacce ai draghi, la stessa tensione della battaglia tra un marinaio e la sua nemesi, una balena bianca. E voi cosa avete visto fissando negli occhi la Tigre?