
Roma, 1915. Marianna Ciccone suona alla porta del collegio delle suore Misericordiose. Una valigia di pelle con pochi vestiti, due paia di scarpe, la cassetta delle lenti e un manuale delle idee di Albert Einstein sono il suo corredo. È arrivata in treno dalla Sicilia, viaggiando in terza classe in vagoni stipati di famiglie e pacchi. La suora che le mostra la sua celletta la guarda con un’aria compassionevole. È inaudito che una ragazza sola e durante la guerra voglia andare all’università. Marianna è diversa, intelligente e brillante, con un occhio sghembo che non le ha aperto le porte della bellezza e della vita di società, ma le permette di penetrare il pulviscolo atmosferico e di cogliere le variazioni della luce, dove gli altri vedono solo il buio. È iscritta alla facoltà di matematica e il suo numero di matricola è il diciassette. Ben presto Roma diventa la sua città, così diversa da Noto e dai suoi obblighi formali. Ricorda la madre, la bella Giuseppina. Lei non ha mai capito la smania di leggere e di sapere che la muove fin da piccola. Per lei solo imparare a ricamare è importante per trovarsi un buon marito. Pochi i gesti di affetto verso quella figlia bruttina e strana. La guerra prende una piega pericolosa per Roma e chi può, scappa. Marianna non vuole tornare a casa, quindi partecipa al bando di concorso per la Normale di Pisa, che promette una borsa di studio e un alloggio per l’anno 1916-1917 e lo vince. Inizia così la sua carriera universitaria, le lauree, i dottorati e gli esperimenti. L’insegnamento che la realizza, anche se i colleghi la isolano perché donna. Marianna avanza spedita, rinunciando al matrimonio, agli affetti per un bene superiore a cui crede: la bellezza della scienza…
Simona Lo Iacono con la biografia romanzata La tigre di Noto porta alla luce la figura di Anna Maria Ciccone. Una ragguardevole scienziata nata in un tempo storico particolarmente difficile per la condizione femminile e le due guerre mondiali. Questo libro nasce dal suggerimento di un’amica dell’autrice, avvocato e attrice teatrale, che porta in scena un monologo su una donna di Noto veramente singolare. È appunto la Ciccone, da tutti la conosciuta come la tigre di Noto. Da questo aggancio la Lo Iacono ha fatto ricerche, ma poche sono le tracce e nel romanzo ci sono molte parti di verosimile. D’altro tenore sono le documentazioni della sua straordinaria carriera scolastica e accademica, gli studi di spettrometria e le sue scoperte. È stato trovato un carteggio della scienziata con la Normale di Pisa che copre tutto l’arco temporale della sua vita. Attraverso ripetuti flashback si conosce il suo ambiente familiare, i difficili rapporti con la madre, il delicato sentimento che la lega al fratello malato e l’affetto per Rosa, la nutrice, che si cura di lei più della madre. Si segue la sua carriera dagli inizi: la permanenza a Roma, a Pisa e per un breve tempo in Germania dove conoscerà e collaborerà con Herzberg, futuro Nobel per la chimica. Molteplici sono gli spunti di riflessione che il romanzo dà: la maternità, la diversità, la tenacia per ottenere risultati. In quella Sicilia di allora la figlia femmina doveva proseguire l’esperienza della madre, restare in casa per prendersi cura dei genitori, sposarsi e a sua volta fare figli. Discostarsi da un modello del genere per seguire le proprie aspirazioni significava tradire le aspettative familiari e sociali. Date le sue caratteristiche intellettuali così potenti e diverse dal suo ambiente nativo, è naturale che scatti in Marianna una mancanza di affetto e di riconoscimento, che vivrà come un vero e proprio lutto. Anche nel suo percorso accademico, costellato di successi, ciò che le manca è la condivisione della felicità. Sarà una donna che sconterà tutte le sue conquiste con una grande solitudine. È stata la prima ad insegnare alla Normale e il suo rapporto con gli allievi era diretto, paritario e stimolante. Sprona gli studenti a leggere, a contemplare la bellezza della parola e della poesia. Per la Ciccone non esistono barriere tra le discipline e non ne esistono neanche tra insegnamento e apprendimento. Raggiunge i vertici della conoscenza laureandosi in matematica e poi in fisica. Da seguace di Einstein e fu la prima a capire che la teoria della relatività generale e di quella ristretta potevano avere riscontri di natura empirica. Fece passi avanti nello studio della spettroscopia con teorie importanti per la fisica quantistica. Il comportamento di un singolo ha un riflesso e delle conseguenze sugli altri; quindi, bisogna relazionarsi e connettersi e questo Anna Maria Ciccone lo diceva alla fine dell’800. Lei fa appello al nostro senso di responsabilità, convinta che anche dal contegno morale dell’essere umano derivino delle conseguenze. Temi e studi adesso ripresi riguardo al surriscaldamento del globo, allo smaltimento dei rifiuti e alla catena biologica. La Ciccone ha trasformato ostacoli di ogni genere in opportunità, è una donna che si scontra con tutto: con la mentalità familiare e accademica, con due guerre mondiali, con la storia e con i nazisti. Il salvataggio dei testi ebraici nella biblioteca dell’università di Pisa fa capire quanto la lettura sia stata importante nella vita di Marianna. La parola è l’atto vitale per eccellenza. Nel romanzo i libri sono chiamati “i viventi”, parole di scrittori che non moriranno mai e con cui si instaura una relazione. E l’atto di bruciare i libri è una delle cose più scellerate. Non è solo distruggere delle cose materiali, ma distruggere l’anima delle persone, la memoria di un popolo e tutto ciò che quel popolo ha attraversato. Vuol dire veramente sradicarlo dalla sua possibilità vitale. Simona Lo Iacono è riuscita perfettamente a far conoscere Anna Maria Ciccone, esempio e sprone per tutti.