
Marzo 2010. Serena Drew attende con impazienza che nell’imponente stazione ferroviaria di Philadelphia venga indicato il binario del treno per Baltimora. Accanto a lei James, il suo ragazzo, è sicuramente più rilassato. Si sono conosciuti all’inizio dell’anno accademico e sono stati per la prima volta a pranzo dai genitori di lui: sembra sia andata abbastanza bene. Fra i passeggeri che affollano la stazione Serena intravede un uomo che potrebbe essere suo cugino Nicholas. L’incontro fra i due, piuttosto imbarazzato, rappresenta per James l’idea di “parenti alla lontana”. Del resto, Serena ha cinque cugini da parte di madre e si incontrano solo ai matrimoni e ai funerali, mentre James ne ha undici e li riconoscerebbe tutti. Sul treno, arrivano quasi a litigare parlando dei momenti passati con i genitori di lui, del fatto che lei non abbia voluto fermarsi a dormire e, soprattutto, dell’idea che è emersa delle rispettive famiglie: aperta e accogliente, quella di James, ristretta — “finta” — quella di Serena. Qual è il motivo per cui certe famiglie non funzionano? Nelle rare occasioni in cui i Garrett si trovano insieme, non scatta mai la scintilla: Serena immagina possa essere a causa di una discussione degenerata o, come sembra suggerire James, nel loro passato c’è un oscuro segreto…
È tipico della nota autrice americana Anne Tyler concentrarsi sulle dinamiche familiari, lungo una narrazione che, nel caso del romanzo La treccia alla francese, si sviluppa dagli anni Cinquanta ai giorni nostri. Ambientata ancora una volta a Baltimora, è la storia dei Garrett: marito e moglie, Robin e Mercy, con i figli Alice, Lily e David. Per la loro prima vacanza, nell’estate del 1959 — in precedenza Robin si era sempre rifiutato di lasciare a qualcun altro il negozio che nonno Wellington, il padre di Mercy, gli aveva affidato di malavoglia e con diffidenza — i Garrett hanno affittato uno chalet rustico da cui raggiungere a piedi il Deep Creek Lake. Le ragazze hanno già diciassette e quindici anni — un’età in cui l’idea di una vacanza di famiglia non è certo entusiasmante —, mentre David, a sette anni, è un bambino curioso e contento di fare nuove esperienze. Tra queste, però, non c’è imparare a nuotare, mentre il padre insiste in diverse occasioni perché superi la paura di affogare: un episodio apparentemente insignificante — come quello che, anni dopo, vedrà Robin imporre al figlio un lavoro estivo come idraulico, piuttosto che un’esperienza in una compagnia teatrale — avrà invece conseguenze imprevedibili nei rapporti fra genitori e figli e nella loro percezione reciproca. Il romanzo si divide in sette segmenti temporali, a distanza, più o meno, di dieci anni l’uno dall’altro. Ciascuno di essi si focalizza su un membro della famiglia — genitori, figli, nipoti… —, sul loro modo di affrontare situazioni e problemi e su come gli altri familiari li vedono e li giudicano. Più che un accumulo di informazioni, la Tyler preferisce dettagli fugaci, momenti a prima vista banali, ma che hanno in comune la ricerca di libertà e di affermazione. Proprio come le scene, brevi e a tratti sfuocate, dei vecchi filmini casalinghi girati dal padre di Mercy con la cinepresa e che Robin proietta durante la festa per il cinquantesimo anniversario di matrimonio, tutto sembra finire velocemente, i ricordi spesso non coincidono, ma è ciò che resta dell’ordinarietà del vivere quotidiano quando il tempo è ormai passato, quando le scelte importanti sono state fatte, i figli sono cresciuti, i sogni sono stati realizzati o abbandonati. Come sassi levigati dall’acqua, il passato ha perso ogni asperità. Il romanzo si conclude con un episodio legato all’attualità: David, ormai in pensione come la moglie Greta, ritrova inaspettatamente l'intimità familiare quando suo figlio Nicholas va a vivere da loro durante la pandemia. La sorpresa di riconoscere i tratti della famiglia Garrett nel nipote di cinque anni lo porta a ricordare la trecce alla francese che sua figlia si faceva da bambina e che, una volta sciolta, lasciava i capelli ondulati: “Anche le famiglie sono così. Pensi di essertene liberato, invece non sei mai completamente libero; le onde ti restano impresse per sempre”.