Salta al contenuto principale

La valle oscura

La valle oscura

Nel 2013 la vita di Anna, venticinquenne, è “ostentatamente analogica”. Scatta fotografie con la macchina del nonno, sfoglia riviste cartacee, frequenta artigiani e fornai, usa il giradischi e un orologio a pile, resiste perfino al microonde. Si adegua, piacevolmente, allo stile di vita di Brooklyn, dove vive, e della Manhattan che frequenta per lavoro, settore editoriale. Proprio in questa città inizia a conoscere le start up che allettano la sua generazione con idee disruptive, dirompenti, e guadagni ben diversi da quelli dello scarno mercato del lavoro culturale. Il primo impiego nel nuovo mondo consiste nel far decollare un’app per leggere libri da smartphone. Si tratta di un nuovo paradigma esistenziale: “La generazione dei millennial non era attratta dalle proprietà, ma dalle esperienze”, streaming di prodotti culturali e oggetti materiali a noleggio, viaggi e spostamenti con mezzi condivisi… Non mancavano che i libri; e perciò ecco l’applicazione che “non serviva tanto a leggere, quanto a far vedere che eri il tipo di persona che leggeva”. Intanto, il mondo tecnologico corre e inizia a correre anche Anna: “Non mi era mai passato per la testa che un giorno sarei diventata una delle persone che stanno dietro Internet, perché di fatto non avevo mai considerato che dietro Internet ci fosse qualcuno”. In breve tempo si trova a San Francisco e viene a contatto con manager suoi coetanei che guidano capitali immensi e credono ciecamente nel potere dell’algoritmo. Quando è assunta da un’azienda di big data, tenta di mantenere il candore e di imporre i propri valori. Non è semplice: la Bay Area è dominata da ambizioni spietate mascherate da stili di vita neo-hippy e anche l’ottimismo nel futuro e l’esaltazione per ogni idea, per tutte le idee, assumono un carattere alterato. L’utopia non tarda a rivelarsi come un “inferno tardocapitalista”…

Negli anni Settanta la robotica diventò rapidamente sofisticata, tanto da sfornare umanoidi dall’aspetto umano, con pelle sintetica setosa e capelli fluenti anziché bulloni e cerniere alla Frankenstein; uno studioso giapponese analizzò le emozioni di inquietudine e disagio nel rapporto uomo-robot e le classificò con l’espressione Uncanny Valley - zona perturbante. È questo il titolo originale del libro della Wiener che manca di androidi portatori di ansia ma insinua in crescendo antipatia e sospetto per la realtà che le aziende legate a internet stanno creando. Non si tratta di un romanzo, è tutto accaduto davvero all’autrice, che narra in prima persona con uno stile asciutto e limpido che solo nel finale sfuma in una breve (e doverosa) analisi psicologica. La valle oscura è un memoir e un reportage: diario personale e resoconto giornalistico e sociologico di quel che accade nella Silicon Valley e dintorni, in contrasto con il mondo classico e snob di New York. La distanza fra i due luoghi non è solo geografica: in California il futuro è rincorso e anticipato, e guai a chi non riesce a mantenere il passo. Giorno dopo giorno, dunque, Anna Wiener ci porta nei quartier generali delle aziende tecnologiche (riconoscibilissime anche se non citate), nei vizi dei millennial pionieri della sharing economy, delle app di condivisione di qualunque cosa, nel caos mentale dei capitalisti dei dati raccolti (o estorti) attraverso i social network. Il libro, citatissimo in tutte le classifiche di pubblico e di critica del 2020, resterà anche come reportage sociologico di questa epoca di infinite accelerazioni e di pochi ragionamenti. E conviene continuare a seguire la giovane autrice che, nel frattempo, ha voltato le spalle all’algoritmo per dedicarsi alla scrittura.