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La veglia

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Dublino. Veronica Hegarty ha il compito di informare la madre della morte del fratello Liam, morto suicida in mare a Brighton. Gli Hegarty sono nove figli, perché proprio a lei tocca questa incombenza? “Perché sono quella brava, ovviamente. Ho una macchina, una bolletta del telefono capiente…”. Il rapporto con la madre, ormai poco presente a sé stessa, è assai conflittuale, la detesta perché non si ricorda mai il suo nome (“Ciao. Tesoro. Come avrebbe potuto dire al gatto… ovviamente sa chi sono, è solo il mio nome a sfuggirle… Veronica! vorrei urlarle. È questo il nome che mi hai dato: Veronica”), perché ha avuto dodici figli e sette aborti e “non si è data neppure la pena di tenere un diario, giusto per capire chi avesse avuto cosa, quando e quali vaccinazioni”. La notizia della morte del figlio all’apparenza non la sconvolge più di tanto, ma poi, in un attimo di lucidità, agganciata al lavello della cucina emette un grido “agghiacciante. Sommesso. Sembra che si levi dalla sua schiena. È un dolore biologico, stupido, senza tempo”. Anche questo struggersi senza troppo senso perché “piangerebbe qualunque figlio fosse”, è un atteggiamento che Veronica non le perdona, perché in fondo le rimangono un sacco di altri figli, mentre a lei mancherà il fratello più amato, che aveva soltanto undici mesi in più, una quasi gemellarità che li ha legati in un rapporto di amore/odio indissolubile. La morte di Liam e la reunion di tutti i fratelli e sorelle, sarà l’occasione per Veronica di riappropriarsi di ricordi e fantasmi, in particolare di “qualcosa” successo a casa di nonna Ada quando lei aveva otto anni e Liam nove, qualcosa che fatica a ricordare distintamente ma che sa essere stato l’inizio della fine del fratello…

“Laggiù vedo la pelle del mare irlandese”, “(…) la piccola volta della sua ascella, come una cupola senza chiesa”, “(…) le mie figlie sono di una specie diversa. Crescono come fossero piante, sembrano fatte di rami e petali anziché di carne”, “(…) so cosa sto pensando! dice il pazzo nella mia mente, picchiando sul bracciolo della sedia, e l’infermiera che passa gli dice bravo, complimenti”. Tutti esempi random di cosa sia la cifra di scrittura dell’irlandese Anne Enright: le sue metafore, le similitudini, gli accostamenti lessicali. Se a questo aggiungiamo la fabula di una donna in lotta con sé stessa e i suoi ricordi, tra l’autodistruzione e la voglia di rinascita, tra l’amore e l’odio, una famiglia numerosa e un Paese, l’Irlanda, l’una e l’altro in continua lotta col proprio pudore e, in più, un intreccio a zig zag, tra passato e presente, otteniamo un romanzo, questo romanzo, imperdibile. Un romanzo famigliare, come è nella vocazione di Enright, che precede (è una ristampa, il libro è uscito per la prima volta in Italia nel 2008) in questo sottogenere La strada verde e L’attrice. Veronica è una donna non del tutto risolta, con un marito che odia e che crede la voglia annientare, due figlie, una bella casa, notevoli possibilità economiche, una famiglia d’origine con una madre “perennemente incinta”, con una stabilità mentale traballante, e un padre che non perdeva occasione per picchiare i figli e tanti fratelli e sorelle, ognuno con una caratteristica negativa che li contraddistingue. La morte di Liam, come detto, la porta a ripercorrere il passato, prima con lacune che non riesce subito a colmare, poi con più vividezza ma sempre col dubbio che le cose siano andate effettivamente così come le sovvengono; ricordi, fantasmi, che poi sono la stessa cosa, qualcosa che è stato e che proietta la sua ombra sul presente. Enright utilizza infatti il flusso di coscienza per cui i tempi si accavallano e si inseguono per tutta la narrazione. L’unico ricordo, il fondamentale, quello che chiude il cerchio su Liam, riaffiora in tutta la sua violenza: una fotografia mentale che raffigura il fratellino novenne in un atteggiamento incontrovertibile con il padrone di casa di nonna Ada. Ambientato nella cattolicissima Irlanda, e forse proprio per questo motivo, il romanzo è attraversato da un grande e ingombrante elemento, il sesso. Viene da lontano questa ossessione di Veronica per il sesso: “In definitiva non le perdono il sesso. La stupidità di tanto scopare. Passivo e cieco” dice della madre, e gli attori principali della storia hanno tutti a che fare col sesso. Veronica Hegarty è uno di quei personaggi che fatichi a scrollarti di dosso, non puoi evitare di tenerla in testa. Vale la pena di conoscerla.

LEGGI L’INTERVISTA AD ANNE ENRIGHT