
Spagna, mentre infuria la guerra civile. Sulla strada che da Barcellona porta a Valencia viaggia un’automobile guidata dal dottor Lluch. A bordo: l’onorevole Rivera, i due ufficiali Blanchart e Laredo e Paquita Vargas, attrice di operetta. Ognuno di loro è partito con una diversa motivazione. La tappa intermedia è a Benicarló, in un hotel in riva al mare. Le luci di un tramonto che sta per lasciare posto alla notte, alla veglia, mostrano il profilo degli ulivi e la spuma di onde silenziose che battono sulla costa. Nell’albergo sono già presenti altri ospiti: l’ex ministro Garcés, lo scrittore Eliseo Morales, un imprecisato “capitano”, il socialista Pastrana e Barcala, propagandista. Tutti attendevano Rivera e si mostrano sollevati nel rivederlo vivo. Il parlamentare condivide lo stesso stupore: “Letteralmente, vengo dalla sepoltura”. Dopo il golpe militare che rovesciò il governo repubblicano, su di lui pendeva una condanna a morte che lo aveva costretto a rintanarsi prima per quattro lunghi mesi nella capanna di un pastore e poi, letteralmente, in uno dei loculi del cimitero di Pamplona. A questo racconto, seguono quelli degli altri ospiti dell’hotel. Comincia una notte in cui si condivide un’insonnia necessaria, una veglia in cui irrompe la Storia, le analisi e le previsioni, intrecci e legami significativi. Finché non sarà giorno, uno dei tanti nell’Europa del Novecento, ancora sconvolta dalla furia dell’odio…
“Se il popolo avesse avuto le armi avrebbe vinto”. Questa è una delle tante considerazioni affidate a uno dei protagonisti del romanzo. Leggerla a quasi novanta anni di distanza atterrisce: non possono non notarsi gli stessi temi dibattuti oggi, durante l’invasione russa in Ucraina e con la necessità di quest’ultima di mettere in atto forme di resistenza. In Spagna andò come sappiamo: la guerra civile fu spietata e consegnò il Paese, prima repubblicano e democratico, al fascista Franco. In questa cornice è ambientata La veglia a Benicarló, romanzo corale. Il suo autore non è uno scrittore qualsiasi: trattasi di Manuel Azaña, ultimo presidente della Repubblica fino alla dittatura che durò dal 1939 al 1975. Azaña, dopo gli eventi descritti, si rifugiò in Francia, lì morì nel 1940. minimum fax sceglie di riproporre questo testo, scomparso dai cataloghi editoriali da anni, inaugurando una nuova collana. Sono gli Introvabili, opere che meritano una seconda chance, al di là del genere letterario. Questo libro è già abbastanza “inclassificabile” fra i generi: è fiction ma presenta chiare evidenze storiche e biografiche, è scritto in forma di dialogo ma non è esatto come una drammaturgia, possiede tanti protagonisti e altrettanti punti di vista. Non teme, inoltre, di fare filosofia e di applicare la politica, in uno scorrere delle pagine senza interruzioni né divisioni di capitoli. Questa edizione gode della co-traduzione e della prefazione di Leonardo Sciascia che ricorda come Azaña “parla della guerra come di un viaggio”, ovviamente tragico, e facendo affiorare nel finale (che non sveliamo) la “distruzione della ragione”. Sono, quelle di Sciascia, parole come sempre puntuali e misurate e la sua “raccomandazione” vale come un indiscutibile invito a leggere.