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La vendetta

La vendetta

Anime erranti. Palpebre ferite dai ricordi. Si trascinano in una realtà che non guardano più. Vogliono tornare alle origini, trovare le radici, rifugiarsi ai loro piedi o sradicarle del tutto. Estraniati da un mondo di menzogna, che non perdonano. Vivono storie crude, dai toni cupi, accese dal colore di gesti aberranti. E così una moglie uccide il marito per farlo smettere di russare, chiama un dottore e si scusa per il letto sfatto. “È caduto dal letto, su una scure, tutto qua. È strano, sì. Ma ci sono una quantità di cose che accadono così, stupidamente”. Naturalezza indifferente. E poi una ferrovia abbandonata. C’è solo una scultura con un cane e un uomo. Un vecchio. L’ha ucciso lui quel cane per dargli una vita di pietra. E ora è rimasto statua anche lui, lì, ad aspettare un treno per il passato. Ma il passato è passato e non gli resta che giocare alla Vita. Non è un gioco poi tanto divertente, è un gioco senza speranze. Ha vinto alla nascita. E ora si attende la morte. E allora cosa fare? Ecco una donna che vuol diventare vecchia e sola. Dice che per sopravvivere è meglio fuggire in una città straniera. Trovare una casa propria, dove mettere l’anima a riposo e sbattere la memoria fuori la porta. Ma la pace è lontana. Inafferrabile. Scorrono le pagine e si intravede una fabbrica. Dicono sia una fabbrica di orologi. Eppure escono cadaveri. La giovinezza, la forza, la vita sono rimasti nel capannone. I calli sulle mani parlano solo di stanchezza mortale...

Agata Kristof, in questi 25 racconti brevi, con i toni del surreale ci descrive un disagio palpabile con mano, tanto concreto che non fa paura. È lì, accanto a noi, ci circonda, ci penetra. Parole intime per personaggi rarefatti, senza nome. Sono un Nessuno in cui ci ritroviamo tutti. Fotografa la ricerca delle vie d’uscita dal mondo in cui viviamo in ogni sua manifestazione. Si susseguono immagini taglienti. I corpi arrancano, smaniano. Gli occhi si ribellano, serrati non vogliono vedere altro. Si parla senza dare senso alle parole, per la formalità dell’automatismo. “Che notizie mi dà? – Come stanno i bambini? – La ringrazio. Per ora di malati ce ne sono solo due. I più grandi vanno nei negozi per riscaldarsi. E da voi? – Niente di particolare. Il nostro cane non sporca più. Abbiamo comprato dei mobili a credito. Ogni tanto nevica”. Ma, tra le parole casuali, intercambiabili, si intravede l’illusione che dal dolore per l’abbandono, il distacco, il senso di perdita, si guarisca tornando indietro. Come se nella casa natale vi fosse il perché di quella straziante esistenza. E allora non è certo cieco dolore che Agata Kristof ci presenta. Ma la ricerca del perché si sta qui, tra questi uomini, si costruiscono e sfaldano legami. E l’anima non si da pace. Non può fintanto che non ci sia risposta. Fintanto che non arrivi la soluzione. Quello che resta a noi lettori è un punto di domanda, è l’esigenza di continuare la ricerca iniziata da queste pagine. Non è un libro che si dimentica. Lascia sul volto impressa un’espressione eterna.