
Elettra Morin ritorna a Trieste, dove si è formata come poliziotta. E ci ritorna da nuovo commissario capo della Mobile. Con lei c’è il figlio Leo, curioso, appassionato di animali, pronto anche lui a cominciare la sua nuova avventura alla scuola materna di quella città. Ed è proprio per lui, solo per quel bambino che Elettra accetta di farsi raggiungere anche da sua madre, con la quale ha sempre avuto un rapporto più che conflittuale. Ma come fare altrimenti? Il suo nuovo incarico le porterà via la maggior parte della giornata e in ogni caso Trieste è la città dove ha mosso i primi passi come poliziotto, non può permettersi nessun passo falso, nessuna leggerezza. E Leo non può stare certamente da solo. Per questo, quando arriva in macchina con il bambino e rivede viali e angoli familiari è terrorizzata e orgogliosa in eguale misura. Quello che l’attende a Trieste, in realtà, è un caso di omicidio con infinite ripercussioni sociali e una pm come Rosanna Guarnieri a seguire la complicata faccenda e fare da controcanto alla nuova commissario. Il punto vero di arrivo e partenza per Elettra Morin però sarà uno e uno solo: chi ha ucciso per davvero l’agente immobiliare nella frazione di Contovello, a picco sul mare, il 21 novembre del 2020?
Giallo incespicante al netto dello sfondo sociale indubbiamente apprezzabile e del tentativo dell’autrice di imbastire una storia nella storia che parla di immigrati sfruttati in maniera quasi continua sui luoghi di lavoro dove finiscono per diventare poco più che fantasmi, ignorati dai compagni, sconosciuti agli addetti ai lavori, a volte perfino ricattati da chi li assume. Incespicante perché le lunghe pagine in cui la protagonista insieme alla sua squadra cerca, in una indagine senza dubbio complicata, di ricostruire il mondo degli affari della vittima e dei suoi collaboratori, risulta dispersivo tra una costellazione di personaggi minori che confondono chi legge e spezzano il ritmo di una tensione che invece è vitale, necessaria in un libro di genere come questo. La figura di Elettra Morin è umanizzata in certe pagine all’eccesso nel suo ruolo di madre e di figlia e in altre molto poco come commissario, un’altra delle cose che spezzano la tensione emotiva nei lettori. Inoltre, l’idea di creare intorno alla figura della commissario una squadra molto diversa da lei per origine e per carattere sarebbe stata anche una buona intuizione e invece finisce con il diventare uno spartiacque tra simpatici e antipatici del tutto stucchevole. Carine invece le descrizioni ambientali che portano per mano il lettore in posti originali e sconosciuti ai più e rese con una penna più da sceneggiatrice che da autrice di gialli. Lo stile dell’autrice, comunque, rimane il punto di forza di tutto il libro, compresa la sua tendenza a strizzare l’occhio a certa narrativa rosa, stratagemma che risulta solo vagamente accennato e pertanto gradevole e vincente.