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La voce dentro

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C’è la presentatrice televisiva alla sua prima grande occasione: il team titolare è in trasferta per un evento di maggiore importanza, quindi sarà lei a condurre la pagina d’approfondimento. Il tema è su un’adolescente che s’è tolta la vita dopo l’arresto dell’insegnante che aveva intrattenuto rapporti sessuali con lei. L’alterco verbale che Claire ingaggerà con l’ospite, rappresentante dell’Associazione “Madri di creature innocenti”, manderà all’aria la sua prima intervista. E probabilmente la sua carriera… La cugina Candice si sposa, Claire è stata doverosamente invitata. Ora il pensiero è l’abito, un impegno arduo: l’obiettivo è surclassare quello della sposa senza che la cosa appaia deliberata… Ogni santa mattina, prima di andare al lavoro, Claire passa ad accudire l’anziana madre. Eppure la vecchia non sembra apprezzare, come sempre è stato. Ora che Claire deve partire per lavoro sarà necessario che qualcun’altro se ne occupi: sarà Patience. La cosa genererà meccanismi inaspettati. Patience è un androide…

Manca l’efficacia di quel guizzo, quel tocco da Maestra che attraverso una svolta narrativa riesca a mettere il timbro d’autore su un racconto breve. Sostanzialmente assistiamo a una discesa negli anfratti inconfessabili dell’irrisolto femmineo sguazzandoci e basta. Scrittura eccellente nella forma, ottima traduzione, risultato però monotono, noioso e deludente. I rapporti familiari, il conflitto con la figura materna e, a cascata, la meschinità dei più bassi istinti, dall’auto-assoluzione all’invidia, al desiderio indiscriminato di vendetta nei confronti di colleghe, “amiche” e parenti è la cifra costante dei racconti grotteschi di Frances Leviston. Minimali nelle vicende e prolissi nelle paranoie, hanno per protagoniste le dieci Claire che, seppur calate in contesti diversi, hanno il medesimo imprinting che finisce per convogliare la miseria materiale e psichica in un narrato molto poco coinvolgente. E poi perché si indugia tanto su particolari tanto sgradevoli quanto superflui della corporalità da parte delle scrittici delle ultime generazioni (Rachel B. Glaser, Francesca Mattei)? Cosa aggiunge alla narrazione? Questo compiaciuto affrancarsi dalle regole del buongusto sembra dettato da un infantile bisogno di esibizione pubblica del panno sporco. Liberatoria, forse. Ma sarebbe questo ciò che la critica ha definito come “complicato mosaico racconto di una femminilità contemporanea e libera?”. Parliamo del cerume delle orecchie, allora. Esiste. Merita forse di essere oggetto di un trattato che non sia di carattere otorino-laringoiatrico? I conflitti con la madre, l’invidia, il senso di inadeguatezza, la rivalità tra “amiche”. Va bene, roba vecchia come il mondo. Ragione non sufficiente al punto di intriderne racconti che se vanno senza lasciare traccia se non l’apprezzamento per una capacità di scrittura che purtroppo non approda a nulla: come quella di un guidatore esperto che non ci porta mai da nessuna parte.