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L’addio a Saint-Kilda

L’addio a Saint-Kilda

Un arcipelago scozzese, nell’Oceano Atlantico. Hirta, l’unica abitabile tra le isole, è lontana dal mondo e dal tempo nel senso più letterale possibile: molti dei suoi cittadini (il numero di abitanti ha oscillato, nei secoli, da un massimo di 150 a un minimo di 30) erano analfabeti, parlavano esclusivamente gaelico, e non avevano mai visto un albero o un cavallo: un’intera esistenza fatta dalla semplicità e dalla comunione con l’ambiente e la natura circostanti. Un ambiente che però diventa sempre più ostile: la fuga verso l’Australia, la Prima Guerra Mondiale, tutti eventi di importanza universale che in questo angolo di terra si trasformano esclusivamente nell’incertezza di poter veder nascere un’altra primavera. Nel 1930, rimasti ormai in pochi, col pericolo sempre più concreto di non potersi più sostenere autonomamente, gli abitanti di Saint-Kilda decidono spontaneamente di chiedere al Governo un’evacuazione in Scozia. Molti anni dopo, nella primavera del 2014, Éric Bulliard, giornalista svizzero che per anni ha studiato questi luoghi e questa storia, riesce ad approdare sull’isola, e ci racconta questo viaggio, alternando il suo arrivo al commosso e sconvolgente addio di chi dovette rinunciare alla propria terra, e portare per sempre il peso di aver deluso i propri antenati...

Éric Bulliard scrive un reportage dalla dimensione ancestrale, quasi magica. Hirta è un luogo apparentemente paradisiaco, dove uomini e donne vivono lontani dagli affanni quotidiani delle grandi città, con uno stretto legame di comunità, una profonda fede e un grande rispetto per la terra. Basti pensare alla foto che si trova nelle prime pagine del libro: un gruppo di persone, disposte una di fronte all’altra, su una via che sembra di campagna. Sotto, la descrizione “Il Parlamento di Saint-Kilda”. Perché quella via è in realtà Main Street, l’unica via di Hirta, sulla quale sono disposte le uniche undici case mai costruite. E quello è davvero il loro “Parlamento”, nel senso più stesso del termine: ogni mattina, gli abitanti di Hirta si incontrano e decidono cosa fare, come dividersi i compiti. Questa foto ci dà perfettamente idea dell’ambientazione poetica del reportage, che sfocia nel romanzo proprio per il fascino romantico che riesce a riscuotere. La storia ricorda da un lato il reportage di Corrado Stajano Africo su una comunità calabrese costretta a evacuare in seguito a una violenta alluvione e dall’altro Lettere dalla Kirghisia di Silvano Agosti, in cui Kirghisia è il nome di una terra (africana) utopica e meravigliosa. Tolta qualche ripetizione e qualche battuta evitabile, un libro davvero bello, dove a stupire e a lasciare un senso di commozione è la “dignità sconvolgente” che, nelle ultime pagine, accompagna gli abitanti lontano dall’isola che hanno così amato e odiato, per secoli e generazioni.