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L’alba sepolta

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Indossa solo gli slip e si guarda allo specchio, in bagno. La luce filtra dalla persiana e coni di luce illuminano l’addome scolpito e i fianchi asciutti di Davide. La sua pelle ha assunto il colore dell’oro grazie al sole estivo; i suoi capelli si sono schiariti e una lieve peluria bionda gli ricopre le braccia. Si rade e ascolta la radio; quando sente bussare alla porta e la voce di Dolores lo invita a uscire, così che lei possa pulire il bagno, Davide spegne la radio e apre il rubinetto dell’acqua fredda. Si sciacqua in fretta il viso, indossa la maglietta penzolante sul portasciugamani e spalanca la porta. Scherza con Dolores, a servizio a casa sua da un anno, poi si sposta in camera, dove tutto è in ordine e i jeans che ha intenzione di indossare sono stati sistemati su una sedia. La casa è vuota e immersa nella quiete. Prima di uscire, Davide dà un’occhiata fuori dalla finestra. Sono i primi giorni di settembre, ma fa ancora molto caldo. Il telefono vibra nella tasca dei suoi jeans. È di nuovo Giulio. Davide lo raggiunge in biblioteca, dove l’amico ha già studiato il capitolo sulle molecole organiche. Davide protesta, avrebbero dovuto studiarlo insieme, ma Giulio sottolinea che è ciò cui avrebbero dovuto dedicarsi il giorno precedente, quando Davide ha dato buca all’amico e non si è presentato. La ragione della sua assenza è molto importante e Davide ci tiene a farla sapere all’amico. Mentre stava per recarsi all’appuntamento con Giulio, Davide ha incontrato un amico comune, uno che suona, che stava andando a ritirare un premio al conservatorio. Davide non ha resistito e lo ha accompagnato: ottima scusa per incontrare lei, Karin. Giulio sottolinea che l’amico potrebbe avere tutte le donne che desidera, ma Davide insiste sul fatto che è lei quella che vuole: Karin. Lei ha questa abitudine di guardarti come se non stesse guardando davvero te, come se tu fossi trasparente. E, per Davide, questo è irresistibile…

Una vita fatta di eccessi; un continuo alternarsi tra apparire ed essere che mostra debolezze e carenze mai metabolizzate; un passato e un trauma infantile che pesano come macigni. Questo è Davide, il bellissimo - in senso fisico e metaforico - protagonista del romanzo di Valentina Ricci, autrice milanese classe 1988 che offre al lettore una storia potente, capace di mostrare la fragile forza di un giovane che si insinua sottopelle e lì rimane. Bello e dannato, quindi, spavaldo e desideroso di attenzioni, abituato a vivere un’esistenza dissoluta che nasconde il vuoto interiore che le difficoltà della vita hanno creato, Davide affronta la quotidianità con una fragilità importante, un’interiorità che si presenta frammentata come le tessere di un puzzle, uno di quelli che è quasi impossibile ricomporre. Il distacco dalla madre, la convivenza con un padre dedito solo al lavoro e decisamente assente e la necessità di dare un senso compiuto a entrambe i legami sono il presente di Davide, un presente in cui l’apparenza non riesce a celare completamente il dolore sotteso. L’intero romanzo, che scorre rapido attraverso pagine molto intense, sottolinea come ciascuno di noi sia null’altro che il risultato delle esperienze vissute nel passato e come sia necessario ricordare ciascuna di quelle albe che il nostro istinto di sopravvivenza ci ha spinto a seppellire. È necessario ricordarle e riviverle, per riuscire finalmente a riprendere il percorso della nostra vita con passo più fermo, sguardo alto e deciso e nessuna paura. In un crescendo che svela tutto ciò che è celato e accende una nuova luce su una sempre più matura consapevolezza di sé, la Ricci propone un testo che, partendo da un’esperienza contingente e particolare, sia fa via via sempre più generale e affronta tematiche condivisibili e molto interessanti. La scrittura, ricca di suggestioni e di scelte lessicali interessanti e mai banali, rappresenta un ulteriore elemento di forza di un lavoro d’esordio che ha tutte le carte in regola per far parlare di sé.