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L’albero dei suicidi

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A diciassette anni ero basso, timido, con gli occhiali. Per il troppo sole, la pelle rugosa mi faceva risultare più vecchio della mia età. Vivevo a Shihoro, in Giappone, sull’isola di Hokkaido, e lavoravo come contadino con mio padre, ma questo lavoro non faceva per me. Una scatola con delle cartoline — un regalo dello zio Aki, stimato poliziotto di Kioto — è stato per me un segno del destino: anch’io un giorno avrei visto quegli stessi luoghi. Così a ventitré anni decisi che dovevo cambiare vita. I miei genitori furono sorpresi di sapere che sarei partito per Kioto: era una scelta che non potevano condividere. Arrivato in città, dopo un lungo viaggio avventuroso, mi sistemai in una minuscola stanza con le poche cose che possedevo. La vita era più dura di quanto avessi pensato, ma un pomeriggio, mentre camminavo, un uomo grasso e ben vestito mi tagliò la strada urtandomi: raccolsi i fogli che erano caduti dalla sua cartella e glieli restituii. Un gesto che valse la sua gratitudine e la proposta di andarlo a trovare. L’uomo — come scoprii — era il Dottore Masashi Iwasaki, odontoiatra, e mi fece una proposta che non potei rifiutare: sostituire il suo vecchio giardiniere che di lì a poco sarebbe andato in pensione. Vitto, alloggio e un lavoro assicurati: gli esseri dell’Universo finalmente si erano ricordati di me. Fu così che conobbi la bellissima moglie di Masashi, la giovane Sashiko…

Il romanzo di George Moglianì prende avvio dalla prospettiva del giovane Hisao, che, a dar credito alla prefazione, sarà il protagonista di una trama ricca di suspense e di azione, nonché caratterizzata dalla profondità psicologica e morale dei personaggi coinvolti in rapimenti, trame segrete, vendetta, traffici internazionali, sullo sfondo di scenari esotici. In effetti, tutti questi “ingredienti” non mancano. Tuttavia, anche un lettore poco allenato non potrà fare a meno di notare, fin dalle prime pagine, qualcosa di “stonato” nella forma, soprattutto nei tempi verbali, che si alternano non uniformemente. Allo stesso modo, la scelta di passare, dopo alcune pagine, da un narratore in prima persona — e quindi da un punto di vista più intimo —, a un narratore in terza persona, più oggettivo e distaccato, potrebbe avere l’effetto di disorientare chi legge. Il personaggio che nel primo capitolo si è presentato come protagonista/narratore ricompare solo nella seconda metà del romanzo, quando avrà sì un ruolo determinante, ma in una situazione che si sviluppa, come altre, in modo piuttosto frettoloso e non del tutto plausibile. In definitiva, si riconosce all’autore la capacità di strutturare una trama e un insieme di personaggi promettenti, ma è probabilmente mancato un lavoro di editing attento e puntuale che avrebbe reso la lettura più scorrevole, coerente e appassionante.