Salta al contenuto principale

L'albero di Anne

L'albero di Anne
Ad Amsterdan, al numero 263, nei giardini di Prinsengracht, vive da 150 anni un ippocastano che potremmo definire ancora giovane per la sua specie. È da tempo minato da un’infezione fungina e dalle tarme. Nella convinzione di essere prossimo a tacere per sempre, decide di raccontare fatti accaduti più di sessant’anni fa, proprio al numero 263 di Prinsengracht. “Un male terribile invadeva il mondo. Tutto era diventato vietato per quelli che, come lei, erano ebrei. A partire dal 1940, era vietato: AVERE UNA BICICLETTA/PRENDERE L’AUTOBUS E IL TRAM/CORRERE PRIMA DELLE 3 E DOPO LE 5/ANDARE IN PISCINA/GIOCARE A TENNIS O A HOCKEY/FARE CANOTTAGGIO/ANDARE AL CINEMA O A TEATRO/RIPOSARSI NEL PROPRIO GIARDINO DOPO LE 8 DI SERA/FREQUENTARE SCUOLE CHE NON FOSSERO EBREE/ANDARE DA PARRUCCHIERI CHE NON FOSSERO EBREI/USCIRE SENZA LA STELLA GIALLA CUCITA SUL VESTITO. Vietato... Vietato... Vietato... E poi un giorno: VIETATO ESISTERE”. Così un lunedì, più precisamente il 6 luglio del 1942, sotto una pioggia battente, a piedi e con “un mucchio di vestiti infilati l’uno sull’altro, perché non possono trasportare valigie senza apparire sospetti”,  Anne Frank e la sua famiglia arrivano nell'alloggio clandestino di Prinsengracht. Nell'intimità della soffitta, sbirciando dal Lucernaio le stagioni passare, attraverso i mutamenti dell'Ippocastano, Anne scrive le pagine del suo diario, l’ultima il 1° agosto1944, un martedì. Tre giorni dopo, quattro agenti della Grüne Polizei fanno irruzione nell'alloggio, degli otto abitanti della casa solo il padre di Anne è sopravvissuto... 
Una delicata e commovente storia sulle pagine del Diario di Anna Frank, scritte nei due anni di clandestinità con la famiglia presso l'alloggio al numero 263 di Prinsengracht e ritrovate nel nascondiglio ormai deserto qualche ora dopo l'irruzione da un’amica di famiglia. All'autrice Irène Cohen-Janca (di origine tunisina, vive in Francia e di mestiere fa la bibliotecaria) dobbiamo questa bella storia di fantasia e realismo insieme, ma soprattutto l'originalità del punto di vista: l'ippocastano che racconta è realmente esistito e malato, e ancora oggi si trova vicino al nascondiglio, nei giardini di Prinsengracht. A Maurizio A. C. Quarello, illustratore pluripremiato in Italia e all'estero (che nasce a Torino e vive oggi a Cesky Krumlov in Repubblica Ceca), dobbiamo il tocco naif e leggero delle immagini. Illustrazioni delicate e lievi che offrono un supporto prezioso al testo (fatto anche di eventi storici e citazioni dal diario reale di Anne), attraverso un intervallarsi di soggettive e oggettive in cui l'ippocastano domina quasi sempre l'inquadratura, guardandola o lasciandosi guardare. Alla sensibilità di Orecchio Acerbo, ormai una grande realtà nel panorama nazionale dell'editoria, va il merito di aver scelto di tradurre e pubblicare questo racconto necessario, realista, leggero. Una lettura perfetta per spiegare ai più giovani, per provare a tenere viva la Memoria (sempre a rischio di estinzione)  e per ricordare quel  27 gennaio del 1945, il giorno (non troppo lontano in fondo) in cui le truppe sovietiche, entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz in Polonia per abbatterne i cancelli.  Da leggere per non dimenticare la tragedia nella tragedia dell'infanzia vittima della Shoah, per aiutare (come soltanto l'arte è in grado di fare) bambini e ragazzi ha capire cosa significa davvero la data del 27 gennaio, a dare un senso alle parole della legge che istituisce il Giorno della Memoria “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. L'albero di Anne ci aiuta a ricordare senza troppo spazio per il pathos e la tragedia, dunque senza nessuna possibilità di catarsi. Con profondità, senza ammiccare mai alla possibilità di rimozione.