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L’albero di Goethe

L’albero di Goethe

A Monaco – in Baviera – nel marzo del ’44 pare ancora inverno e Willi si sente in dovere di aiutare il fratello Dieter, che si trova costretto a letto con la febbre alta. “Che sarà mai distribuire gli ultimi volantini alle persone”, in fondo è giusto ciò che vi è scritto: “Tedeschi! Perché continuate a tollerare un regime tirannico che vi priva palesemente di un diritto dopo l’altro?”. Nella sua innocenza Willi non calcola il rischio, non prevede il dramma e viene scoperto, braccato in tutti i sensi e caricato su quel furgone. Appena si abitua alle tenebre, scorge volti di altri ragazzini, figli della resistenza anch’essi. Alex cerca di calmarlo, di infondergli coraggio, tenta in un qualche modo di rassicurarlo, anche se quando si è nelle mani della Gestapo non v’è nulla che possa rassicurare. Willi, spaurito, fatica a comprendere quali saranno le possibili conseguenze del suo gesto e della sua cattura, non sa nulla del mondo, di quel mondo. Nemmeno quando viene rasato, privato dei suoi abiti e condotto in un campo il cui odore acre gli procura come un’irrancidirsi di saliva, difficile da deglutire…

Per un ragazzino deportato a Buchenwald la via più semplice per sopravvivere può anche essere quella di perdere la memoria; è così che Willi tenta una via di fuga. Non fuga dal campo, solo dalla realtà. Ma poi riecco la facoltà di ricordare, e con essa la dura scelta della sopravvivenza che spinge chiunque, affamato, a sentirsi disposto a qualunque patto pur di mangiare anche un solo quadretto di cioccolato. Non è una favola per ragazzi, non è proprio una favola. È un modo per far sapere anche ai ragazzi che ci sono stati i campi di concentramento, e che anche se qualche kapò cita Goethe per impressionare i giovinetti, il punto è che quando si ha di fronte un mondo di iPhone, videogame con una grafica tale da far rabbrividire il cinema non è semplice parlare di storia, che dell’altrui o della nostra si tratti. In particolare qui si riuniscono guerra e violenza sui minori, due mostri che vincono la stessa battaglia, mentre oltre la siepe, a salvare i bambinetti più o meno cresciuti, c’è un altro grande colosso, forse anch’esso fuori moda oggi: l’amicizia. La Schneider si rivolge ai ragazzi nel presentare questo suo romanzo, ma io – adulta – mi sento chiamata in causa, sento che devo (dobbiamo) partecipare e prima di raccontarla ai più giovani dobbiamo introiettarla, accettarla e soltanto dopo narrarla, questa dannata storia, per sconfiggerne ogni pericoloso ricordo non rimarginato che come una coda di lucertola si rimetterebbe a contorcersi nelle nostre viscere.