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L’albero di mandarini

L’albero di mandarini

Napoli, ottobre 1940. Maria cammina spedita, con gli occhi spalancati a indagare il buio. Appena scende la sera, in vico Cupa Caiafa - grandi palazzi, piccole bettole e bassi aperti sul terriccio della strada - sembra che da ogni angolo nasca un’ombra o si celi un pericolo. Cani randagi abbaiano senza posa, mentre i topi escono dai loro nascondigli e le passano davanti ai piedi. La gente del vicolo dice che i topi arrivano dal mare di Mergellina, ma Maria non ci crede, perché lei quel mare lo ama. Riesce a farle perdere il senso del tempo e le dà il respiro, quello che ora le manca, mentre cerca la luce tra le lenzuola stese al vento di ottobre, che paiono vele di navi che non si allontanano dal porto. Nel vicolo ad ogni passo un afrore diverso colpisce le narici di Maria e all’orecchio le arrivano risa sguaiate, pianti sommessi e una musica di pianoforte accompagnata dalle urla stonate di Assunta Catapano, una femmina dallo sguardo cattivo, madre di due femmine e cinque scugnizzi senza Dio. Maria li conosce bene quei ragazzini, perché suo padre, Giovanni Imparato, più volte a casa si lamenta di quei guaglioncelli che s’attaccano allo sbalzo posteriore del suo tram e ne fanno sganciare il trolley. Ogni volta Giovanni è costretto a scendere per riagganciare il cavo e prendere a male parole quei bricconi. Più in là, lungo il vicolo, al primo piano dell’ultimo palazzo, c’è la casa di Pupella, la donna più bella del quartiere, quella che lascia dietro di sé, a ogni passo, profumo di lavanda e rose. Non c’è uomo che non la trovi stupenda e non c’è donna che non la odi. Maria si reca spesso a trovarla. Le piace parlare con lei, ascoltarla e guardare le sue mani curate muoversi tra le cose. È una donna gentile, come dovrebbe essere una madre. Non si è mai sposata Pupella e, quando Maria gliene ha chiesto il motivo, la donna ha risposto che le sarebbe piaciuto, ma ora ormai non la piglierebbe più nessuno. Si è sempre arrangiata da sola e, dovendo scegliere tra la cosa più giusta e quella più facile, ha preferito seguire la seconda strada. La madre di Maria non vuole che la figlia frequenti Pupella, perché, dice, è una di quelle. Ma Maria non capisce cosa significhi e sua madre le ripete che glielo spiegherà quando si farà più grande...

Una vicenda che attraversa mezzo secolo e che racconta le donne, quelle di un Sud che richiede spalle larghe per essere attraversato. Si tratta di donne segnate da una vita dura, fatta di povertà, di miseria e, spesso, di infanzia violata e di omertà. Donne che hanno imparato che le illusioni hanno un prezzo troppo elevato ed è meglio non coltivarle; donne che crescono i loro figli nell’accettazione della propria condizione e nella rassegnazione, perché sognare di cambiare e migliorarsi è rischioso, doloroso e impossibile. È in questo contesto, in una Napoli da cartolina degli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso - una città che ammalia e incanta ma che non concede sconti e sfinisce per quanto è dura - che si snodano le vicende di Maria e della famiglia Imparato. Già a nove anni Maria mostra le spigolosità del suo carattere: la guerra le ha insegnato a guardare senza veli le ferite che ignoranza e povertà sanno infliggere e non ci sta. Non vuole rassegnarsi e vuole sfuggire alla fitta rete che pare imbrigliarla in una situazione che è la stessa da sempre, quella di spettatrice passiva di una vita che le scivola addosso e la annienta. Maria vuole cambiare e affrancarsi da un destino già scritto, che non tiene conto né dei suoi sogni, né nelle sue ambizioni. E per farlo, il matrimonio e una nuova terra in cui vivere paiono il miraggio di un domani migliore. Ma la vita, si sa, non è mai semplice e il futuro di una giovane Maria, trasferitasi a Rio De Janeiro con la nostalgia negli occhi e la speranza nel cuore, si scontra con un’altra figura femminile durissima, una suocera perfida e tagliente come la più affilata delle lame, che saprà inciderle la carne e ferirla nel profondo. Maria Rosaria Selo - scrittrice napoletana e sceneggiatrice di cortometraggi - offre al lettore l’immagine viva e pulsante di un periodo storico denso e duro e tratteggia, con parole accuratamente scelte e fortemente evocative, personaggi che è impossibile dimenticare. Nunzia - la mamma di Maria, la cui durezza non può che ricordare la madre di Lenù, la protagonista di L’amica geniale di Elena Ferrante -, Pupella - materna e affettuosa, nonostante un destino beffardo già segnato per lei -, Rosa e Silvia - rinnegata e cresciuta in collegio una, amata ma destinata a cadere sotto il peso dei più tragici dei dolori l’altra - sono solo alcune delle figure che abitano le pagine di un libro che si legge tutto d’un fiato. Una storia densa di dialoghi infarciti di quel dialetto che trasporta in vicoli in cui la povertà è l’unica forma di vita che si conosca; in cui il coraggio di combattere si paga a caro prezzo; in cui fatica e rimpianto sono sentimenti quotidiani. Una lettura necessaria, davvero consigliata.