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L'amore al tempo dei cambiamenti climatici

L'amore al tempo dei cambiamenti climatici

Forse si tratta di claustrofobia, oppure perché tutto gli risulta talmente assurdo e al di fuori di ogni (sua) logica; fatto sta che a Tomás, scienziato ricercatore della Repubblica Ceca, giunto da poco a Bangalore, India, per una conferenza, manca l’aria; è una sensazione di completo spaesamento e non riesce a dormire, è agitato, pur essendo abituato da sempre ai viaggi. Ma qui trova camere con finestre senza maniglie (camere che si fa cambiare ogni notte, finché non trova la più ariosa, dietro un lauto pagamento), ragazze tredicenni offerte dai genitori come se fossero merce, e ne è sconvolto. E poi ci sono gli impiegati dell’hotel, sempre sorridenti e pronti a soddisfare ogni sua esigenza: di poche parole ma molti sorrisi, se li trova continuamente addosso; anche mentre mangia, il maître è sempre alle sue spalle, che lo guarda, lo fissa quasi, per assicurarsi che mangi tutto caldo, che siano gli idli, la rava upma, gli uttapam o i paratha. E appena Tomás afferma di voler lavorare con il suo pc nella sala ristorante, tutti gli impiegati si affrettano a prendere (sottrarre) agli operai al lavoro sul tetto dell’edificio di fianco, il cavo necessario per portare l’elettricità, pur di assecondare il suo desiderio. E poi Tomás ha sete, una sete pazzesca. Che acqua si può bere a Bangalore, India? Si può bere l’acqua dell’hotel? Eppure ha vissuto in Norvegia e in Australia, ma qui, in India... è tutto al di fuori di ogni (sua) logica, vorrebbe scappare. Finché per strada, davanti ad un locale fatiscente, in quella che crede essere una baraccopoli, Tomás vede una ragazza in jeans, e la fotografa...

Romanzo surreale, divertente, fuori dagli schemi. Poca trama, dialoghi indiretti, due personaggi principali, frasi ripetute più volte, racconti riportati che diventano storie nella storia. Uno stile eccentrico, come un film di Wes Anderson, irresistibile. Pánek in qualche modo combina in poche più di duecento pagine un viaggio di lavoro in India (anzi: Bangalore, India) e un assurdo tentativo di fare il giro in autostop dell’Islanda con un paio di scarpe da tennis e dei jeans strappati (per sapere se il tentativo sia riuscito o no, comprate il libro!). Nel contempo, attraverso brevi cenni, abbiamo una visione politica e sociale della Repubblica Ceca; e non dimentichiamoci di una tappa a Parigi in compagnia di barboni e kebap, di un matrimonio in Australia e di una storia (un’altra!) di impiegati pubblici negli Stati Uniti che terrorizzano una ragazza indiana: tutto questo crea un tourbillon dal quale si esce, a fine lettura, frastornati, increduli, ponendoci qualche domanda. E credo che questo sia lo scopo dello stesso autore che, con uno stile diretto, senza alcun freno e senza edulcorare i fatti, ci riporta le impressioni di un uomo, abituato ai viaggi e a diverse culture, nel suo incontro con l’Altro, non sempre facile. Ciò che contraddistingue Tomás è la consapevolezza di queste difficoltà e il riconoscimento dei pregiudizi altrui, cosa che lo porta in qualche modo a salvarsi. Come dire: va bene, è normale avere pregiudizi, li abbiamo tutti, ma se li sappiamo intercettare, se li riconosciamo e andiamo oltre gli stessi, non ne potrà venire che qualcosa di buono... forse, chissà, anche l’amore.