
Io. Gli Altri. Il Mondo. Lo Spirito. Quattro fasi narrative, quattro specchi di un’identità rifratta, quattro movimenti di una sinfonia dodecafonica, agitata, dissonante, priva di un centro. Il titolo: Mirko, 28 anni. Professione: infermiere assistente al parto (“…Vasi anteriori. Monitoraggio del sanguinamento. Atonia dell’utero, distacco della placenta. Totale, parziale, laterale. Controllo dell’addome. Sproporzione cefalo-pelvica…”); anzi no. Professione: Professore di Storia, anzi guardiano notturno, o aspirante coltivatore di marijuana. Mirko ha messo la laurea in Latino in soffitta e si è abbandonato al valzer dei “lavoretti”, stressanti e insoddisfacenti. La frustrazione dentro monta, esorbita, si fa disagio esistenziale pieno, chiede di essere verbalizzata, detta, raccontata. Ma anche il racconto è farraginoso. L’assenza di strutture sociali ostacola la presenza di strutture psicologiche, che a loro volta impediscono il dispiegarsi di una struttura narrativa. Storia singola e storia di una generazione che vede sfaldarsi attorno il mondo delle certezze, degli appoggi fisici e mentali; gli specchi sono tutti concavi o convessi, l’immagine ritorna indietro sempre deformata. Nel ripercorrere a ritroso il suo evolversi, la psicosi permea di sé la realtà. Realtà precaria, lavoro precario, rapporti con gli altri, anche, precari. Più che liquida, la società si fa frammento. Incongruente. L’identità è un puzzle in cui i pezzi non corrispondono, qualcuno è andato perduto, altri rotti; l’immagine piena non si compie…
Sostantivi come ansia, precarietà, mancanza di identità, stress lavorativo, depressione inquietudine e agitazione, caratterizzano la fulminea scrittura di Kazimir Kolar, scrittore sloveno classe 1979, che sembra proiettare sul personaggio Mirko le sue condizioni biografiche, simili a tante altre della sua generazione. Narrazione singola e collettiva a un tempo, nell’Europa del tardo-capitalismo e della disgregazione dei collanti sociali. Nell’universo dell’Io, laddove penetrano Lo Spirito, il Mondo e gli Altri con il loro caos, la confusione si fa vera e propria malattia mentale psicotica. Persino il confortante ripiegamento nell’auctoritas della cultura antica è vietato, la certezza logica delle declinazioni latine che categorizzano “i casi” della vita si sfalda. La consecutio temporum diventa confusio temporum: “Qualcosa è decaduto. I casi sono tutti mischiati, qualcuno li ha scombinati. Li ha smantellati, apposta, per cattiveria. È andato tutto distrutto, posso solo balbettare. La prima declinazione, il tema consonantico della terza declinazione. Declino. Singoli sostantivi. Come un idiota. Le frasi nucleari. Qualcuno l’ha fatto apposta, ha soppresso le subordinate concessive. I periodi ipotetici dell’irrealtà. Ha creato una confusione totale. Consecutio temporum. Il dativo al posto dell’accusativo. L’infinito al posto dell’imperfetto. Il genitivo assoluto, l’ablativo con l’infinito storico. Per-frexit, perfrexere. La frattalità. Questo ripeto”. La migliore recensione qui non può che essere la citazione, perché i contenuti di questo agile e fulminante Lampreht si giocano tutti sulla percezione a fior di pelle del nervosismo e dell’agitazione che permeano la scrittura stessa. Irrequietezza sociale ed esistenziale che non trova canali d’elaborazione e si sfoga, elettricamente, nella parola. Corrente verbale del pensiero scosso.