
Il giornalista non può raccontare una storia di guerra standosene seduto in una camera d’albergo o comunque lontano dal fronte: la narrazione dei fatti deve assorbirlo, deve coinvolgerlo, deve renderlo partecipe. Per questo ci si deve buttare dentro anima e corpo, sfidando anche la sua stessa incolumità, ma la verità, il racconto, la memoria non può essere fatta attraverso interposta persona. La scrittura dei fatti non può avvenire che in diretta, a stretto contatto con tutti i cambiamenti, drastici e radicali, che lo determinano: questi cambiamenti sono a volte anche contraddittori, potrebbero anche richiedere ripensamenti e abiure. Non sono necessari grandi cause per determinarli: anche un animale domestico, un gatto, che entra in uno studio, spinto dalla sua innata ed istintiva curiosità, genera delle mutazioni nell’ambiente circostante, ci porta gioia, ci porta un qualcosa di diverso dall’ordinario, ci porta a ripensare il nostro mondo. Non sempre sono cambiamenti positivi: lo sa il gorilla nello zoo di Abu Dhabi, che, dopo un primo momento di euforia e arrabbiatura di fronte alle grida moleste dei bambini che lo prendevano in giro, si è seduto al centro della gabbia, fermo, immobile, ed è scoppiato in lacrime. Il giornalista deve essere sempre lì, deve essere capace di raccontare questi cambiamenti: “È difficile scrivere in un mondo di cambiamenti tanto drastici e radicali. Tutto ti scivola via da sotto ai piedi, mutano i simboli, i segni si spostano, i punti di orientamento non hanno più un luogo fisso. Lo sguardo di chi scrive erra in paesaggi sempre nuovi e sconosciuti mentre la sua voce si perde nel rombo della precipitosa valanga della storia”…
Lapidarium di Ryszard Kapuściński è un quaderno frammentario e disorganico che raccoglie riflessioni interiori sul mestiere del giornalista e dello storico. Per questo, come spesso succede con Kapuściński, si va ben al di là della narrazione comune, perché si scava nei dettagli, nei particolari. La parte più interessante del libro è quella legata alla ricostruzione (se non proprio costruzione) del rapporto fra scrittura e futuro del giornalismo, con la quale ci cerca di definire l’importanza del rapporto e del legame esistente fra lo scrittore ed il lettore e la difficoltà, di cui devono essere entrambi coscienti, di narrare un oggetto così fluido. Nonostante l’apparente semplicità, non è un libro banale, perché dietro la superficie del narrato sono inserite in modo naturale e spontaneo, considerazioni socio-politiche che a volte appesantiscono un po’, ma completano il discorso. Kapuściński ha l’acume e lo sguardo del grande intellettuale, la capacità di analisi dello storico e la fluidità narrativa del romanziere, un po’ come Erodoto, uno dei suoi modelli dichiarati. Anche in considerazione del peso dell'autore e di quanta importanza abbia avuto nel suo campo per le tesi e i posizionamenti metodologici, Lapidarium entra di diritto nei manuali di quel genere letterario che è a metà fra il giornalismo, la storia e la narrazione in generale. È tanto interessante da meritare una lettura tutta d’un fiato, ma anche ricco da essere considerato fra quei libri che andrebbero sempre tenuti sul comodino, in modo da leggerne qualche pagina a caso ogni tanto, così solo per riflettere. Un mosaico di riflessioni, pensate e scritte in totale libertà.