
Gli esseri umani si amano sin dalla notte dei tempi. Abbiamo sempre dato per scontata questa frase, considerandola un’ovvietà legata all’accoppiamento e pertanto facente parte di una realtà storica innata e indubbia. A ben pensarci, però, se il legame sessuale necessario alla riproduzione è effettivamente onnipresente in natura, i sentimenti umani sono invece tutta un’altra storia. Essi, infatti, sono (anche) una costruzione sociale evolutasi di pari passo con l’homo sapiens e le sue capacità intellettuali, perciò non possono essere esistiti da sempre nelle forme a noi note. Per comprendere quindi in quale modo le relazioni amorose si siano sviluppate nel corso dei secoli occorre rivolgersi all’archeologia: solo le fonti storiche possono farci comprendere come semplici necessità riproduttive si siano trasformate in relazioni complesse. Analizzando ad esempio il nostro DNA, abbiamo scoperto di possedere una percentuale piccola ma non indifferente dell’Uomo di Neanderthal, e questo ci fa porre delle domande non da poco: la giunzione tra i Sapiens e i Neanderthal fu forzata con la violenza? Oppure è possibile rintracciare già da lì un incredibile avvicinamento sentimentale tra quelle che furono in effetti due tipologie di umanità diversa? E se invece, come sostiene Denis de Rougemont, l’amore romantico come lo intendiamo noi sarebbe frutto della poesia dei trovatori della Linguadoca (quindi nato intorno al XII secolo), i legami sentimentali dell’antica Grecia o di età romana quale tipo di amore esprimevano?
Cătălin Pavel nel suo appassionante saggio è chiaro: non può darci risposte definitive. Come in ogni libro di archeologia che si rispetti, del resto, è possibile trovare qui soltanto ipotesi e analisi dei reperti, ma non verità assolute. Eppure, non per questo il viaggio è meno appassionante. Grazie a una nutrita quantità di riferimenti e di materiale anche fotografico, Pavel ci mostra infatti come l’amore (o i suoi antenati, comunque si chiamassero) si esprimesse già in molteplici forme sin dalla più remota antichità. È questo però un lavoro in divenire: troppo spesso infatti certa stampa ha cavalcato il rinvenimento di scheletri abbracciati esclamando che si trattava dei “Giulietta e Romeo” di tempi remotissimi. Pavel, invece, con la quiete dell’archeologo, ci spiega che non bisogna mai lasciarsi prendere dai facili entusiasmi, e che ci è concesso soltanto fare ipotesi, perché laddove dove noi vediamo facilmente dei sentimenti, potrebbe invece palesarsi l’ultimo abbraccio di due estranei che per circostanze violente si ritrovarono a morire insieme; e forse, al contrario, tra le iscrizioni di Pompei (anche oscene), potrebbero celarsi veri messaggi di affetto o di disperazione amorosa.