
Non è un bel momento per Ludovic Escande, editor presso la grande casa editrice parigina Gallimard e pantofolaio per natura. La situazione, anzi, sembra precipitare a ritmo vertiginoso. Il suo matrimonio sta per naufragare, la moglie si appresta a chiedere il divorzio. Il problema sembra essere lo stesso Ludovic, ma lui stesso non capisce ancora perché. Il lavoro, inoltre, è ben lontano dall’offrire una necessaria valvola di sfogo. Ludovic lo trova ormai ripetitivo e privo di stimoli giusti, qualcosa da fare per tirare a campare e nulla più. Non rimane che sfogarsi con una amico davanti a un buon chablis d’annata. Sylvain Tesson, noto scrittore ed esperto alpinista, trova un solo modo per scuotere l’amico: una bella scalata della vetta d’Europa. La cima del Monte Bianco è lì per essere conquistata, perfino un gran pantofolaio con la paura per l’altezza può farcela. Incredulo e ancora scettico, Ludovic accetta la proposta e inizia la sua preparazione. Gli oltre quattromilaottocento metri del tetto d’Europa diventano una sorta di chiodo fisso, quasi una nuova ragione di vita. Iniziata con scetticismo, la preparazione fisica diventa quasi ineludibile per Ludovic. Eppure i soliti vizi sono duri a morire e rimangono sempre lì, dietro l’angolo...
Un romanzo autobiografico in cui l’autore non tenta nemmeno di nascondersi dietro un’identità di comodo. Ludovic Escande, editor e direttore della collana di narrativa francese “L’Arpenteur” presso Gallimard, racconta in questo suo primo romanzo la nascita della passione per la montagna e le scalate in genere. Dopo il Monte Bianco, infatti, ha scalato anche i famosi calanchi fra Provenza e Camargue e addirittura un grattacielo. Una storia, dunque, che ci fa toccare con mano come i casi della vita riescano a tirar fuori la nostra vera natura. Lo fa con uno stile semplice, colloquiale, una scrittura che scorre e cattura il lettore senza effetti speciali, andando dritto al nocciolo della cosa. Non ciò che manifestiamo e che, purtroppo, crediamo parte della nostra stessa natura, ma ciò che veramente abbiamo dentro e teniamo ben sopito. Diceva Don Abbondio nel mitico dialogo con il vescovo Borromeo: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. E se questo famoso coraggio uno ce l’avesse e lo tenesse ben nascosto? Se l’unico modo per riappropriarsi della propria vita fosse quello di mettersi alla prova? Rimettersi in gioco, provare qualcosa che non avremmo mai pensato di fare. Non è qualcosa che richieda coraggio, dopotutto. Nel romanzo si respira un certo senso di leggerezza, perfino davanti agli ostacoli della consuetudine e, soprattutto, davanti alla montagna. I pericoli e le difficoltà della scalata non sono rose, ma si possono superare in nome di un appagamento inaspettato. Ciò che emerge da questo romanzo, insomma, non è un uomo nuovo. Ludovic Escande è sempre lo stesso pantofolaio incapace di superare certe abitudini, ma adesso ha una nuova consapevolezza che nulla potrà più togliergli: la capacità di mettersi alla prova. Non sono le capacità che ti permettono di cambiare la vita, ma la consapevolezza di sapersi mettere alla prova davanti a situazioni nuove.