
“Il mio più grande amico è la verità” sono queste le parole di un uomo straordinario nato nel 1643 e vissuto in solitudine a causa di vicissitudini familiari che ne hanno minato il carattere. Isaac Newton ha avuto in dono il genio, ma pochi affetti. L’ecclesiastico William Stukeley ne ha curato la biografia nell’opera Memoires of Sir Isaac Newton’s life. Dopo gli studi alla Kings school di Grantham, il giovane Isaac è stato richiamato alla dimora di Woolsthope Manor per curare l’eredità paterna, ma la sua mente formidabile vagava altrove. Capace di concentrazione per lunghe ore, era in grado di scrivere ed elaborare le sue idee anche diciotto ore di fila, e manifestata la sua attitudine alla scienza, la famiglia ben poco poteva fare per trattenerlo. La ricerca era la sua ragione di vita ed è attraverso lo studio delle teorie di Tycho Brahe e delle tre leggi che governano il movimento dei pianeti elaborate da Johann Kepler, che Newton è giunto ad elaborare quella sulla gravità. In possesso di una cattedra permanente presso l’Università di Cambridge dal 1669 e membro dal 1672 della Royal Society of London, usufruiva in un angolo del giardino del Trinity College di un capanno con all’interno i bracieri sempre accesi, laboratorio privato in cui conduceva i suoi esperimenti alchemici. Ed è a Edmond Halley che lo scienziato invia la sua dimostrazione dal titolo Sul moto dei corpi in orbita, formulando tre leggi che superano quelle di Keplero e sono “assunzioni sulla natura più intima della realtà: le relazioni tra materia, forze e movimento”. Ma ci vogliono altri diciotto mesi prima che Newton ritenga pubblicabile il suo lavoro, prima che il mondo entri in possesso dei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, pubblicati il 5 luglio 1687 in tre volumi e cinquecento cinquanta pagine, un sistema che spiega l’Universo. Di lui John Maynard Keynes ha detto: “Era l’ultima grande mente che guardava il mondo visibile e intellettuale con gli stessi occhi di quelli che iniziavano a costruire la nostra eredità intellettuale meno di 10.000 anni fa. Non era il primo dell’età della ragione. Era l’ultimo dei maghi”…
“La gravità attira le masse, cerca di rompere il loro terribile isolamento. La gravità è la forza del club dei cuori solitari della Natura”. Il londinese Marcus Chown, classe 1959, è un abile divulgatore scientifico, scrittore e giornalista, impegnato come consulente di cosmologia – la branca dell’astronomia che si occupa dell’origine e dell’evoluzione dell’Universo – per la rivista “New Scientist”. Il suo lavoro presso il California Institute of Technology di Pasadena e le conoscenze acquisite lo hanno portato a infondere la sua passione in numerosi testi accessibili a un vasto pubblico di lettori grazie a un linguaggio semplice e a spiegazioni non troppo tecniche, adatte anche ai non addetti ai lavori. Nel volume L’ascesa della gravità racconta e analizza, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista scientifico, le esperienze di vita e le scoperte incredibili di due uomini, Isaac Newton (1643-1727) e Albert Einstein (1879-1955), che sono risultate essere determinanti per lo sviluppo dell’astrofisica, e che hanno permesso conquiste tecnologiche basilari per l’essere umano e i suoi spostamenti nello spazio. L’opera, recensita nel 2017 con entusiasmo anche sul “Guardian”, è per il momento l’unica di Chown tradotta in Italia, ma le sue pubblicazioni in inglese sono ben più vaste e partono dal 1999. Interessante e degna di nota è la sua invenzione nel 2011 di un’app per iPad chiamata Solar System, in cui è possibile far ruotare le immagini dei corpi celesti e scoprire informazioni su ciò che si osserva.