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L’asino del Messia

L’asino del Messia

Autunno del 1968. In Polonia il regime comunista ha reagito alle proteste di piazza della primavera con durezza e con una campagna fortemente antisemita perché “traditori sionisti” sono stati accusati di aver orchestrato le manifestazioni studentesche. E Wlodek, così come tutta la sua famiglia e migliaia di altri individui, si ritrova improvvisamente un apolide in quanto ebreo. In Polonia non c’è più posto per gli Israeliti e quindi si emigra in massa in Israele, la Terra Promessa. All’arrivo, nonostante la terra sia brulla, incandescente e così diversa dalle foreste rigogliose attorno a Varsavia, a Wlodek tutto appare meraviglioso. Il padre non ne è così convinto ma, come spesso accade durante un’emigrazione improvvisa, i figli crescono in fretta e dissipano i dubbi dei genitori. Lo stesso accade all’arrivo a Gerusalemme, quando la madre si lamenta della modestia dell’appartamento e del mobilio assegnato alla sua famiglia dal cosiddetto Centro di Assorbimento dei nuovi immigrati dello stato di Israele. Wlodek va su tutte le furie per la mancanza di gratitudine nei confronti della Patria. La famiglia Goldkorn si rende anche conto di essere finita in una zona di lusso della città, riservata all’alta borghesia polacca. Due dei loro vicini di casa sono il più famoso neurochirurgo di Varsavia e Zygmunt Bauman, che diventerà l’insegnante della sorella di Wlodek. Inizia così la vera scoperta di Gerusalemme e di Israele in generale, fra realtà e utopia immaginata da sempre...

Wlodek Goldkorn è stato a lungo il responsabile culturale de “L’Espresso”. Ha scritto numerosi saggi sull’ebraismo in generale e sulla comunità askenazita come La scelta di Abramo. Identità ebraiche e postmodernità del 2006. Questo L’asino del Messia, seguito ideale del precedente Il bambino nella neve del 2016, è un romanzo autobiografico sull’esperienza dell’autore durante l’aliyah in Israele. Un’analisi ad ampio spettro anche sui simboli e sull’identità del popolo ebraico che si pongono sempre in mezzo tra un passato doloroso e l’anelito di un futuro radioso. Il sionismo infatti si prefigge la costruzione di un uomo nuovo ma la realtà dei nuovi immigrati in Israele è quella di una ricerca di ricostruzione di una identità persa con la sciagura della Shoah. Un racconto della memoria che assume quasi i toni dell’intervista e rappresenta una testimonianza preziosa, priva di retorica e di prima mano su uno dei paesi più controversi del panorama mondiale. Alcune conclusioni tranchant sostenute nel libro, come quella, attraverso la bocca di Bauman, che “Israele non vuole la pace”, possono essere materia di discussione ma del tutto legittime da parte di chi, a suo modo, ha vissuto gli anni più caldi dello Stato Ebraico.