
Dal momento in cui vede passare per strada il fiero asinello e la bella contadina, non può che rimanere estasiato da tanta leggiadria e tanta armonia. L’asino, apprende poi, si chiama Charlot, la bella ragazza Henriette. Una folgorazione a cui segue un lungo vuoto. Si sveglia tutte le mattine e ricerca, ancora in vestaglia al balcone, le due sagome perché spuntano da qualche angolo di strada o da qualche cespuglio di campagna. Finché un bel giorno le ritrova, ma fa una scoperta drammatica: l’asino è legato ad una corda e sgobba sotto il frustino di un contadino, mentre la ragazza, privata della sua leggerezza e quasi sfiorita, insegue la sua giovinezza senza quella luce di serenità negli occhi. La ritrova poi nella casa di un ciarlatano che ha promesso di far rivivere quel giovane inglese che si è tolto la vita per lei annegandosi: ma vedere quel corpo trapassato da una scarica elettrica è una scena davvero insostenibile. Da allora non fa altro che spiarla e ricercarla fra ospedali, obitori e locali malfamati dove la giovane donna, a sua volta, tristemente annega la sua giovinezza. E lui, sempre più malinconico, non può che osservare impotente quel progressivo disfacimento...
Fa bene l’editore Marietti 1820 a riproporre un libro tanto interessante quanto poco praticato di questi tempi: fa bene per la qualità del prodotto in sé, drammaticamente romantico, ma anche per il valore letterario di questo piccolo, dissacrante racconto di un cultore dell’orrore. Il testo rappresenta un esempio ben riuscito di romanticismo esasperato e macabro: c’è quasi compiacimento nella narrazione di una Parigi affamata e decadente, raccontata in modo frammentario, per immagini e particolari, con insistenze su ospedali, obitorio, crocicchi di svendite e sfratti per fallimento. L’asino Charlot, nomignolo che vuol dire in alcuni patois ‘boia’, e la contadinotta Henriette mettono in guardia il lettore, al quale si chiedono un occhio ed un orecchio empatico, di fronte alla decadenza morale di un intero popolo che prova a sfidare la morte, come narra l’episodio di galvanismo, quasi coevo all’esperienza più fortunata del Frankenstein di Mary Shelley, e la fame. La Parigi di Janin non è quella dei grandi palazzi, ma quella delle bettole e dei bordelli: il protagonista appare uomo raffinato che si mescola alla ‘plebaglia’ condividendone la ferocia e follia. Non a caso quella è la Parigi che, in quegli stessi anni, segnerà profondamente la visione della vita di Lev Tolstoj e Karl Marx, entrambi spettatori di un ghigliottinamento di piazza. Esponente del ‘romanticismo frenetico’, cioè quello che vuole mettere in mostra l’aspetto più provocante e perturbante dell’animo umano, Janin scrive questo breve romanzo (Baudouin L’Ane mort et la femme guillotinée, 1829) immergendosi completamente in quel tessuto sociale borghese che voleva scandalizzare e dando vita ad un romanzo istintivo e visionario, irriverente e struggente, in sé precursore e anche apice di un certo tipo di letteratura, attuale ancora oggi.