
Che cos’è esattamente un passo? Che cos’è quel luogo a cui si arriva dopo aver percorso una salita e dove tutti si fermano, tirano il fiato, guardano il panorama, magari fanno pipi, e poi cominciano a scendere? Secondo la Treccani, un passo è un valico o qualsiasi depressione in un contrafforte montuoso che dia passaggio a una via di comunicazione. È, insomma, una sorta di sella tra due picchi montani, dove l’erosione ha agito trovando strati geologici meno resistenti. Questo è certo l’aspetto geografico e naturalistico dei passi, ma vi è anche un’altra prospettiva, altrettanto interessante e intrigante che coinvolge l’uomo, che i passi di montagna li ha usati come vie di comunicazione per fare affari, guerre, scoprire quello che c’era dall’altra parte. Tutti i viaggiatori ne sono attratti. Partono con il fascino delle mappe, l’osservazione che sprigiona la fantasia proprio perché, come dice l’inglese Rosita Forbes, “il fascino e il piacere della carta geografica risiede nella sua incompletezza”, per poi cercare spasmodicamente la verità nella leggenda, usando la fatica della salita come ascensione spirituale, arrivare al passo e guardare oltre. Traguardare le cose da lontano, lo diceva anche Nietzsche, fa vedere le cose migliori. Ma ci sono passi e passi, perché le montagne sono diverse, perché l’uomo ha usato questi valichi in modo differente. Ci sono i passi alpini, con i ristoranti o i bivacchi ultramoderni, con i musei e i belvedere e ci sono i passi himalayani, difficili, anche spaventosi ma terribilmente affascinanti. Conoscerli, scavallarli, essere sul punto di equilibrio per poi scendere da una parte o dall’altra regala una sensazione straniante, a chi si sofferma a pensarci. Certo, ci sono quelli che tirano dritto senza nemmeno rallentare, ma la maggior parte di noi, arrivati al passo, sente il bisogno di fermarsi, sgranchire il corpo ma soprattutto la mente e prepararla a quel che troverà dall’altra parte, fosse anche solo un mondo immaginario...
Non è detto che per salire fino a un passo si debba per forza parlare di grandi camminate, faticose salite in bicicletta, imprese quasi eroiche che purificano lo spirito. C’è chi, come Tino Mantarro, affronta il viaggio in macchina o con un qualsiasi mezzo a motore. Non è alla fatica del corpo che punta, non è al vanto della sudata che sta pensando, ma a ciò che significa arrivare lì, essere in quel punto e riflettere su ciò che vede. E, viva Dio, meno male che la pensa così, che esiste anche questa categoria, senza offesa per i puristi del viaggio. Cresciuto tra le montagne della Valtellina, Tino Mantarro è uno che di viaggi se ne intende e che ama raccontarli in maniera spigliata, semplice e scorrevole. Dal 2007 lavora a “Touring”, il mensile del Touring Club Italiano. Abituato a muoversi e viaggiare, inizia questa sua curiosa e interessante dissertazione sui passi da un viaggio in Tibet, nella provincia dello Yunnan, in un punto non meglio precisato delle vette himalayane e nel regno di Shangri-La, nome evocativo ma per nulla affascinante se consideriamo che i cinesi hanno battezzato così una città nel 2002 per beceri scopi di marketing. Ciò non toglie però fascino e timore reverenziale al passo che l’autista dell’autobus raggiunge dopo una salita pericolosa e degna di un videogioco. La curiosità di Tino Mantarro è tutta rivolta all’uomo che sui passi si è fermato, più che alla natura che lo circonda. Luoghi come il passo dello Stelvio o del Gran San Bernardo attirano molti turisti ogni anno, gli austriaci hanno persino costruito una strada alpina con il solo scopo di renderla un’attrazione turistica e che prende il nome dal Großglockner, il “grande campanaro” che con i suoi 3797 svetta nel massiccio degli Alti Tauri. Gli uomini, insomma, sono fatti per andare e le montagne sono sipari oltre i quali ci siamo sempre interrogati per sapere cosa c’era dall’altra parte, per necessità o per spirito di avventura. I passi sono dunque il punto in cui si scopre la verità, dove una parte del viaggio finisce e una comincia.