
Innokentij Petrovič Platonov, sveglio da pochi minuti, si rigira nel suo piccolo letto d’ospedale. Da quando Geiger, il suo medico di origini tedesche, gli ha mostrato quella strana penna che chiama biro e la “televisione”, non riesce più a dormire per bene. Innokentij è sicuro di non averli mai visti prima in vita sua, eppure non può metterci la mano sul fuoco: in fin dei conti da quando si è ritrovato in quell’ospedale a San Pietroburgo, la febbre non è mai scesa sotto i 37 gradi e questo potrebbe aver influenzato la sua memoria, già di per sé cagionevole. Ma se la febbre può essere una spiegazione plausibile per il mancato riconoscimento di quegli arnesi, di certo non può esserlo per giustificare l’anno in cui si trova: il 1999. Lo ha scoperto casualmente. Valentina, l’infermiera sua personale, l’altra mattina ha lasciato sul suo comodino una confezione di medicine. Come data di fabbricazione riportava il 1997 ma, cosa ancora più strana, come data di scadenza il 1999! Sicuramente un errore di stampa, eppure da allora Innokentij non riesce più a togliersi dalla mente che quello effettivamente sia l’anno in corso. Ma se così fosse, allora lui avrebbe la bellezza di 99 anni avendo “la stessa età del secolo”, come amava ripetere suo cugino Seva. Eppure, quando a fatica si è alzato dal letto per guardare il suo riflesso nello specchio, ha visto sì un viso pallido e degli occhi infossati ma di certo non il viso di un vecchio. Piuttosto di un trentenne che ha passato la notte più brutta della sua vita...
Scritto sotto forma di diario giornaliero, il nuovo romanzo dello scrittore e filologo russo Evgenij Vodolazkin può essere tranquillamente identificato come un romanzo storico “non storico”, per usare un’espressione cara a Alessandro Barbero. Nato nel 1900, Innokentij Petrovič Platonov viene sottoposto ad un esperimento di congelamento nel 1932 nelle Isole Solovji per poi essere scongelato 67 anni dopo, in un ospedale di San Pietroburgo. Svegliatosi senza alcuna memoria del suo passato, il paziente inizia a redigere un diario nel quale ogni elemento di novità funge da pretesto per fare un paragone con la Russia che ormai non c’è più. Una narrazione che per certi versi ricorda il film del 2003 Good Bye Lenin di Wolfgang Becker. Tuttavia, se nella pellicola di Becker il passato serve per immaginare come tutto “sarebbe potuto essere”, nel romanzo di Vodolazkin le due realtà storiche vengono messe a confronto dagli occhi spaesati di un uomo di altri tempi, che attraverso il suo diario si limita a riflettere sull’evoluzione della Storia, senza però fornire un giudizio su di essa. Al centro della narrazione non ci sono i grandi avvenimenti, ma quella “quotidianità spicciola, quelle cose che sembrano scontate e prive di valore” eppure forniscono a Vodolazkin la materia prima per ricostruire la Storia. Un processo di creazione che ingloba – e non potrebbe farne a meno – anche il mutamento linguistico e sociale. “Adesso non solo cambiano sesso i fiumi, anche le persone” dirà ad un certo punto Geiger, il medico. Una frase lapidaria in grado però di racchiudere tutta la cifra del cambiamento storico, sociale e linguistico che una nazione è stata in grado di affrontare in appena un secolo. Una scrittura che ricorda a tratti addirittura quella di Fёdor Dostoevskij, ricca di significati e densa di rimandi, e grazie alla quale nel 2019 Vodolazkin ha vinto il prestigioso Premio Solženicyn.