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Le avventure di Pinocchio

Le avventure di Pinocchio

XIX secolo. L’anziano falegname mastr’Antonio - che tutti chiamano mastro Ciliegia per il  suo naso rubizzo - è nella sua bottega, e si appresta a sgrossare con l’ascia un ciocco di  legno per farne una gamba di tavolino. Ma una vocina sottile sottile lo prega: “Non mi  picchiar tanto forte!”. L’uomo è atterrito, ma crede di aver avuto un’allucinazione e si rimette di buona lena al lavoro: “ohi! tu m’hai fatto male!” grida ancor più forte la  vocina. E via di questo passo. Poco dopo, mentre mastro Ciliegia è in preda a una squassante paura superstiziosa, bussa alla sua porta un suo anziano collega, mastro Geppetto -  ribattezzato dai ragazzacci del paese Polendina per il colore della sua parrucca - venuto a  condividere un suo progetto: fabbricarsi un burattino di legno capace di “ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali” per girare il mondo e fare quattrini. Nonostante la  misteriosa vocina faccia di tutto per far litigare i due arzilli vecchietti, alla fine mastro Ciliegia regala il fatidico ciocco di legno a Geppetto, che tutto contento se lo porta nella sua bottega, una stanzina buia e fredda col camino dipinto sul muro e la dispensa vuota. L’uomo inizia subito a scolpire il suo burattino e con meraviglia si accorge che l’essere di legno muove gli occhi,  ride, gli ruba la parrucca, lo prende a calci sul naso. Una volta ultimato, il burattino -  che Geppetto ha deciso di battezzare Pinocchio in onore di una famiglia di poveracci che gli sono simpatici - non si fa sfuggire l'occasione e fugge di casa. Acciuffato da un carabiniere, lo impietosisce a tal punto che in prigione ci finisce l’incolpevole Geppetto. Nel frattempo il magico fantoccio di legno torna a casa, e qui incontra uno strano grillo parlante...

Drogati come siamo dalle innumerevoli riletture successive della sghemba favola di Carlo Lorenzini in arte Collodi, una più edulcorata dell’altra, la prima reazione che si ha a rileggere l’originale è la sorpresa. Sorpresa innanzitutto per le evidenti differenze nella trama originale rispetto alla storia ormai sedimentata nella nostra memoria a furia di rivisitazioni  (un esempio per tutti? Pinocchio diventa un bambino in carne e ossa solo una volta, alla  penultima pagina del romanzo, vive tutte le sue avventure rigorosamente come burattino, e soltanto una robusta sospensione dell’incredulità fa sì che nessun altro personaggio - persino i carabinieri! - si stupisca se un pupazzo di legno parla e cammina). In secondo luogo per l’atmosfera che si respira tra le pagine, decisamente più gotiche e ciniche di quanto non si pensi (a tratti sembra un horror, vivaddio). Si sa del resto che la storia non era stata affatto concepita per giovani lettori, ma per un pubblico adulto: non a caso infatti nella primissima versione Pinocchio moriva impiccato, e solo il grande successo spinse Collodi fino al finale che conosciamo. Questo work in progress fu possibile perché Le avventure di Pinocchio fu pubblicato a puntate su un quotidiano (“Il Giornale per bambini” diretto da Ferdinando Martini, a partire dal 7 luglio del 1881), e solo nel 1883 per la Libreria Editrice Felice Paggi uscì raccolto in volume e con le magnifiche illustrazioni di Enrico Mazzanti. Altro spunto di riflessione: perché ci si ostina tutti - Collodi per primo - a definire “burattino” ciò che in tutta evidenza è una marionetta? Perché il personaggio è ispirato a Burattino, una delle incarnazioni dello Zanni della Commedia dell’Arte molto diffusa attorno al XVII secolo. Il che ci aiuta anche a capire perché la storia sia ambientata nel passato rispetto all’epoca della pubblicazione, presumibilmente all’epoca del Granducato di Toscana, cosa che si evince da una serie di indizi: le parrucche portate dagli anziani, la presenza di monete fuori conio come gli zecchini d’oro, etc. Spigolature a parte, Le avventure di Pinocchio è un libro-cardine della letteratura italiana, ricco com’è di simboli, allegorie, metafore: c’è chi ha parlato addirittura di romanzo iniziatico-biblico (creazione da materia vile, ribellione al creatore, fuga dall’Eden, punizione con le atroci difficoltà della vita), ma forse l’intento - almeno quello conscio - di Collodi era più modestamente fare critica sociale e culturale mediante una splendida favola irriverente. Una chicca? Nel 1936 Aleksej Nikolaevic Tolstoj scrisse una versione russa di Pinocchio intitolata La piccola chiave d’oro o Le avventure di Burattino, tradotta una ventina d’anni fa in italiano da Stampa Alternativa col titolo Il compagno Pinocchio.