
Libby e Joe si incontrano casualmente una sera e da quel giorno non si lasciano più. Entrambi ancora all’Università e con un percorso di studi molto simile quasi in dirittura d’arrivo, si lasciano travolgere da una passione assoluta e inclusiva che si trasforma in un innamoramento da film e poi in vero e proprio amore. Già, quell’amore che ora Libby con il cranio fracassato, in terapia intensiva e sedata maledice tra sé e sé per averla resa così cieca e alla mercè di un uomo mendace, egoista e colpevole di averle rovinato l’esistenza fino quasi a toglierle la vita. Ma è davvero così? Perché dall’altra parte Joe racconta tutta un’altra storia, una narrazione che lo vede vittima di una donna succube di suo zio, pronta a fare carriera e soldi passando sopra a tutto e che lo ha spinto nella direzione del tutto opposta a quella in cui lui voleva andare subito dopo la laurea. E allora chi è che dice la verità? Certo Libby e Joe sapevano di essere stati cresciuti ed educati in maniera del tutto diversa, sapevano di avere sogni differenti, sapevano che pur travolti da una grande passione e da sentimenti autentici avrebbero finito per scontrarsi. Oppure no? I giovani belli, intelligenti e considerati i primi del loro corso di studi incontratesi per puro caso in una serata qualunque stavano già mentendo l’uno all’altra? E Libby è finita in terapia intensiva davvero per mano di Joe oppure a causa di qualcun altro?
Le colpe degli altri è un romanzo che incanta fin dalla primissima pagina per la costruzione ad antitesi tra i due protagonisti, un espediente letterario già usato nei gialli storici da molti autori di lingua anglosassone, ma che Colette McBeth usa in maniera possente perché insinua, insinua, insinua. Allontanandosi dal suo ruolo di semplice narratrice sussurra continuamente nelle orecchie dei lettori, così che gli stessi non possano mai avere una pur minima certezza di come realmente stiano le cose. Chi dice la verità tra Libby e Joe? Vi sono pagine in questo romanzo spudoratamente a favore dell’uno o dell’altro, ma ai lettori non è risparmiato neppure il legittimo sospetto su tutti gli altri personaggi di questa storia, siano essi solo comparse o coprotagonisti a tutti gli effetti. E la McBeth non si esime neppure dall’inserire un importante elemento sociale nella storia come quello del lavoro dei sogni, specchietto per le allodole tra i più potenti nella generazione 2.0 e che porta i protagonisti del romanzo a una condizione tanto letale quanto impensabile. Un’altra particolarità di questo thriller e della sua straordinaria autrice è il mutamento costante dello stile e del linguaggio a seconda di chi parla nelle pagine, e che segue brillantemente l’ambiguità dei differenti racconti. Una tecnica resa celebre da Abraham Yehoshua nel 1982 e che piace moltissimo ai lettori perché è la sola davvero in grado di farli dimenticare che tutto quello che stanno leggendo è solo finzione. Una piccola nota, infine, sulla traduttrice Cristina Ingiardi, brava oltre ogni aspettativa.