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Le confidenze

Le confidenze

Torino, Palazzo Reale. Una mostra, quel quadro, Le confidenze di Tamara De Lempicka e “tutto ritornò come un sogno che si lascia improvvisamente ricordare”. Avvolta in un vestito cremisi, scovato venti anni prima nell’armadio di Ornella, Violante, nel pieno di una tempesta di pollini, si insinua tra le vie di Torino per dirigersi alla mostra, con il biglietto regalatole da Theo. Ed eccolo lì, in evidenza “come il fuoco di un bengala acceso di notte sul mare”. Ha visto per la prima volta la copia di quel quadro a Matrico, quando è arrivata, all’età di sedici anni, in cerca di un posto in cui sistemarsi ed ora il suo passato e Ornella avevano inondato quella sala di Palazzo Reale. Tutto era iniziato il giorno del suo sedicesimo compleanno, quando Violante aveva scoperto di essere stata abbandonata dai suoi genitori. Nessun biglietto, nessun avviso, nessuna lettera. Un déjà-vu per lei, visto che anche la sua migliore amica era scappata, ma almeno in quel caso ne aveva avuto contezza grazie ad una lettera che le aveva lasciato sotto il banco. Alla ricerca di un segnale, di un indizio che le suggerisca dove trovarli, Violante nota un libro di poesie sul comodino della madre, e dei versi di Pedro Salinas sottolineati. Sola, senza nessuno a cui poter confidare l’abbandono, Violante cerca di continuare la sua vita, finché non riceve la prima visita, dopo una settimana dall’accaduto. Alla sua porta bussa la vicina di casa insieme alla madre. Violante è già sulla difensiva, pronta a inventare una scusa sull’assenza dei genitori, quando l’anziana signora le si avvicina per dirle: “La Regina delle Nevi li ha rapiti”...

Svegliarsi il giorno del sedicesimo compleanno e scoprire di essere stata abbandonata dai genitori. Quali opzioni si hanno? Farsi assalire dal panico e dalla paura di essere soli al mondo e dunque rivolgersi a vicini, ai familiari, alle autorità oppure lasciare che tutto sia normale, o, meglio, che tutto continui nella normale anormalità? Violante sceglie la seconda opzione, perché sa che la sua vita non è ordinaria, a partire dai genitori che la crescono: Cristina, soprannominata la “Puttanesca” e Gatsby, sì, proprio come lui, il grande Gatsby. Due personaggi da film, piuttosto che due genitori a cui aggrapparsi in una vita reale. Quando realizza di essere sola e non avere nessuno a cui confidare la propria situazione, per un po’ fa finta di niente, finché non decide di scappare. Il destino la fa arrivare a Matrico, nel Sud Italia, ma gli eventi le fanno capire che non è lei ad aver scelto Matrico, bensì è Matrico ad aver scelto lei. Il passato di Violante, come un lungo flashback che permea il racconto dall’inizio alla fine, viene rievocato proprio dall’incontro con quel quadro, Le confidenze, e, in una struttura ad anello, il romanzo si conclude q q riagganciandosi al momento iniziale. Lo aveva visto, per la prima volta, nello studio di Ornella, quando era arrivata nella sua casa a Matrico, una realtà surreale, come i personaggi che la compongono: Tore, Jolanda, la sordomuta e sonnambula Nieve, Theo, un giocatore d’azzardo. È un romanzo dall’anima decadente: decadente è Matrico, una dimensione ancestrale, onirica, decadente è Violante e il suo amore per Theo, questo ragazzo che la inizia all’esperienza sessuale, alle emozioni forti che culminano in un’intensità che per Violante diventa l’unica chiave per capire la vita precedente e il presente, decadente e romantico è il loro modo di amarsi e il modo di Violante di filtrare la vita attuale e trascorsa attraverso i versi dei poeti o le fiabe - che titolano i capitoli e i cui rimandi infittiscono la narrazione. Su Matrico, i suoi genitori, e soprattutto quel padre “illusionista” verso il quale cova un sentimento di amore e odio, ombreggiano come fantasmi ed è per questo che Violante capisce che quella terra l’ha chiamata a sé e che è inevitabile per tagliare definitivamente con il passato: “io e la terra, io e Matrico, stavamo prendendo una forma nuova all’alba di quel giorno”. Ma sono i momenti di intimità con Theo e il suo modo di amare primordiale, violento a tratti ma anche puramente viscerale, come quando segna i loro nomi con il sangue del suo mestruo, come quando mangiano i rispettivi nomi scritti su un pezzo di carta o si sposano simbolicamente con Theo che le infila la linguetta di una lattina nell’anulare perché aspettano un bambino, o ancora quando la mostra di Torino, non diventa altro che un modo (accattivante) perché Violante faccia definitivamente pace con il suo passato, per plasmare una nuova Violante. “Avevo perso la mia fiducia e a restituirmela era stato l’unico di cui nessuno si sarebbe mai fidato: un giovane rapinatore, un clandestino, un bandito. Del resto, era l’unico al quale sentivo di assomigliare”.