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Le crociate viste dagli arabi

Le crociate viste dagli arabi

In un giorno di venerdì dell’anno 492 dell’Egira, corrispondente al 15 luglio 1099 i guerrieri franchi conquistano Gerusalemme dopo un assedio di quaranta giorni. Gli storici riportano scene di saccheggi e di violenze inaudite. Cessato il massacro, due giorni più tardi dalla capitolazione della città, non rimane un solo musulmano tra le mura della Città Santa. Alcuni, approfittando della confusione, fuggono varcando le porte della città sfondate dagli assalitori: la maggior parte giace in pozze di sangue sulla soglia delle case o nelle vicinanze delle moschee. Tra i morti tanti imām e asceti sufi, giunti a Gerusalemme dai rispettivi luoghi di nascita per ragioni di ricerca spirituale. Gli ultimi sopravvissuti sono costretti a svolgere il più penoso dei compiti: portare sulla schiena i cadaveri, ammucchiarli sui terreni incolti senza dar loro sepoltura e bruciarli prima di essere a loro volta massacrati o venduti come schiavi dai comandanti dell’esercito francese. La sorte degli ebrei di Gerusalemme è altrettanto atroce. Nelle prime ore della battaglia, alcuni di loro prendono parte alla difesa del loro quartiere, il ghetto, situato nella parte nord della città, ma quando gli attacchi incalzano e i cavalieri biondi cominciano a invadere le vie, ripetendo un gesto ancestrale si riuniscono impauriti nella sinagoga principale per pregare. I Franchi bloccano tutte le uscite, poi accatastano blocchi di legna tutt’attorno e vi appiccano il fuoco. Coloro che tentano di uscire vengono uccisi nelle vie adiacenti alla sinagoga. Gli altri bruciano vivi o soffocano per il fumo. Alcuni giorni dopo la strage, i primi profughi dalla Palestina giungono a Damasco portandosi appresso, con infinite precauzioni, il Corano di ‘Othmān, uno dei più antichi esemplari del libro sacro. È poi la volta dei superstiti di Gerusalemme a giungere nella metropoli siriana. Scorgendo da lontano la sagoma dei tre minareti della moschea omayyade che si stagliano sopra il cortile quadrangolare, stendono i loro tappeti di preghiera e si prosternano a ringraziare l’Onnipotente di avere loro prolungato la vita che temevano fosse giunta al termine. Abu Sa‘d al-Harawī, in qualità di grande qādī di Damasco, accoglie i rifugiati con benevolenza. Questo magistrato di origine afgana è la personalità più rispettata della città; per i palestinesi è prodigo di consigli e di parole di conforto…

Questo saggio storico dedicato alle Crociate, pubblicato per la prima volta nel 1989, contribuisce a fornire degli utilissimi approfondimenti su un periodo storico complesso durante il quale oriente ed occidente sono stati vicinissimi sia negli scontri egemonici e sia nelle reciproche affermazioni di supremazia culturale. L’edizione per i tipi della casa editrice La Nave di Teseo reca una nuova prefazione dell’autore, il giornalista libanese Amin Maalouf, che aggiunge un altro motivo di interesse alla storia delle Crociate da parte del lettore contemporaneo strettamente collegato al pericoloso dilagare di fenomeni di violenza da parte degli integralisti islamici. Maalouf difatti ritiene che il risentimento da parte dei popoli arabi per le violenze subite sin dal tempo delle Crociate si sia riprodotto nella storia sino ai tempi recenti rinfocolato dal colonialismo e dalle manovre imperialistiche da parte di taluni stati europei nonché di Usa e Russia. L’esortazione che lo stesso autore rivolge al lettore è dunque quella di approfondire, da un’altra prospettiva, l’intera vicenda delle Crociate al fine di avere completezza di versioni e poter giudicare con equanimità i conflitti tra il mondo occidentale e il mondo arabo. Le fonti consultate dall’autore sono difatti tutte provenienti da autori e cronisti musulmani dell’epoca e vengono citate alla fine del libro. Si tratta in gran parte di scritti giammai pubblicati in occidente ed in gran parte sconosciuti agli studiosi europei del periodo che più che riferirsi a conflitti religiosi definiscono emblematicamente le crociate come guerre o invasioni manifestando anche dal punto di vista linguistico lo snodo essenziale utile per l’intera comprensione del fenomeno.