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Le donne dell’acquasanta

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Palermo, 1897. Franca e Rosa, cresciute all’Arenella, un borgo di pescatori e di povere famiglie contadine, sono due giovani sigaraie della Manifattura Tabacchi dell’Acquasanta e, essendo amiche da quando erano piccole, si aiutano e si sostengono a vicenda. Franca è la primogenita di una famiglia numerosa di soli maschi, mentre Rosa è figlia unica, accudita dai genitori Mimmo e Graziella che, con la loro generosità, provvedono in modo discreto a regalare qualche frutto della loro terra anche all’amica più sfortunata. Tra le due Franca è la più vivace e coraggiosa: fin da quando era bambina non riesce a sopportare le ingiustizie e sprona Rosa, più timida e riservata, a non farsi mettere i piedi in testa dai “masculi” che si approfittano in ogni modo delle “fimmine”. Le due ragazze lavorano in coppia alla Manifattura: con movimenti studiati e sincronizzati realizzano sigari costosi destinati a essere consumati dai ricchi signori della Palermo bene che nemmeno immaginano le condizioni delle operaie. Il lavoro infatti è durissimo: al piano terra dell’edificio le operaie immergono mani e braccia in enormi vasche in cui vengono lasciate macerare le foglie di tabacco; successivamente al piano di sopra le sigaraie, sedute per ore e ore e controllate a vista da sovraintendenti sospettosi e intransigenti, preparano il ripieno e rotolano le foglie formando i sigari che poi passano al confezionamento. Dopo il lavoro in manifattura, inoltre, alcune giovani vengono obbligate, spesso dalla loro stessa povertà, a salire sulle carrozze dei nobili e a prostituirsi per poche monete. La vita alla Manifattura è resa ancor più dura dai responsabili, che non perdono l’occasione di maltrattare e intimorire le donne: in particolare Ninni, un giovane di bell’aspetto ma violento e misogino, si è invaghito di Franca e la infastidisce in continuazione per obbligarla a cedere alle sue provocazioni. Di fronte all’ennesimo sopruso subito da Maria, una giovane operaia maltrattata dal marito e costretta a lasciare il figlio appena nato pur di non perdere il lavoro, Franca decide di fare qualcosa. Con l’aiuto di Rosa, una domenica pomeriggio scende in città per parlare con Salvo, un sindacalista che riceve lavoratori in difficoltà in un’osteria del quartiere Ballarò. L’incontro con l’uomo cambia non solo le condizioni di lavoro nella Manifattura, ma soprattutto la vita di Franca che, forse per la prima volta, incontra un uomo capace di tenerle testa, animato dal suo stesso amore per la giustizia…

Francesca Maccani, trentina di origine, ma palermitana di adozione, insegna Lettere nella scuola secondaria di secondo grado; ha scritto con Stefania Auci La cattiva scuola. Lettera di due professoresse (2018) ed è stata finalista al Premio Berto con Fiori senza destino (2019), la sua prima opera narrativa. Le donne dell’Acquasanta è il suo secondo romanzo. Un romanzo storico: la vicenda di Franca e Rosa è assolutamente verosimile e ha come sfondo fatti realmente accaduti, come quello dell’istituzione di un nido aziendale, uno tra i primi sorti in Italia, all’interno della Manifattura Tabacchi dell’Acquasanta. Reali sono le condizioni in cui lavoravano le operaie che la Maccani, grazie a un attento lavoro di ricerca e di documentazione, descrive con chiarezza e precisione: le sigaraie non avevano alcun diritto, venivano pagate a giornata, erano costrette a portarsi i neonati legati alla schiena per allattarli senza fermarsi, lavoravano in locali malsani dove si diffondevano epidemie di febbre tifoide, subivano soprusi e violenze da parte dei capi. Per quanto riguarda l’invenzione si può dire che Franca, la protagonista, ricorda un po’ la Lucia manzoniana, come lei operaia e come lei tormentata da un signorotto che, nel caso della giovane lombarda, la Provvidenza riesce a tenerle lontano. Inoltre, accanto ad antagonisti dai tratti persecutori, come Ninni e il suo collega Toti, vi sono anche esempi di uomini magnanimi e di larghe vedute, in particolare il direttore della Manifattura Reghini e l’imprenditore tedesco Arnon che ospita la povera Franca. Il romanzo, però, descrive anche una mentalità secolare che dalla notte dei tempi vede opporsi maschi e femmine: nella Sicilia di fine Ottocento la donna è quasi un animale da lavoro, non solo conta meno dell’uomo, ma deve servire, tacendo, il padre e il marito, a cui vanno la parte migliore e più grossa, anche quando il cibo è scarso e i figli sono tanti. In queste donne, allora, la forza si manifesta proprio nel silenzio che non è atteggiamento rinunciatario, ma capacità di resistere, di non piegarsi, di difendere sé stesse e i propri bambini: “ché la donna è fatta per portare pesi che schianterebbero chiunque, sa pensare a tutti fuorché a sé stessa e sa fingere di essere sazia pur di assicurare un boccone in più ai suoi figli”. La storia di Franca è quindi quella di una voce che si leva dal silenzio per comunicare che le donne, oltre a “resistere” in una società governata dall’egoismo maschile, possono anche “cambiare” quelle regole non scritte, ma solo tramandate a vantaggio dei più forti.