
Mosca, 1918; la rivoluzione comunista sta cambiando irreversibilmente la storia russa, incombe la guerra civile tra fazioni avverse per la presa del potere dopo la deposizione degli zar, a discapito della popolazione, già stremata dalla partecipazione alla Grande Guerra. In questo contesto, un giovane ebreo di nome Lazar’ Lindt, povero, infestato dai pidocchi, con l’unica dote di una intelligenza prodigiosa, bussa alla porta del grande accademico Čaldonov, perché lo ammetta ai suoi corsi universitari. È l’inizio di una formazione e un’ascesa folgorante, sotto l’egida di un mentore che sarà per lui anche figura paterna. I coniugi Čaldonov, senza figli, di fatto lo adotteranno dandogli un tetto e un avvenire nel mondo nella scienza. Lindt, non li delude, brucia le tappe di una carriera eccezionale, divenendo uno degli scienziati più in vista della nomenklatura, e anche quando il suo talento verrà destinato all’industria bellica, non oppone resistenza, attratto soprattutto dalla sfida intellettuale sottesa all’incarico, totalmente indifferente all’impiego pratico delle sue ricerche. La seconda guerra mondiale è alle porte, ma i due scienziati, ormai inseparabili, sembrano quasi non accorgersene, presi dalle loro teorie e dalle dispute infinite che li vedono accalorarsi per ore, interrotte a volte solo dall’invito discreto di Marusja, moglie amatissima di Čaldov, a prendere un tè. É donna di grande dolcezza e temperamento, verso la quale anche Lazar’ prova un sentimento fortissimo, represso a fatica, nonostante la quasi ventennale differenza d’età. Lei non lo ricambia, accudendolo sempre come un figlio. Alla sua morte, Lindt, spento e ancora celibe, incontra una giovane donna che diventerà sua moglie, costretta a lui dai funzionari di partito col ricatto, del quale forse nemmeno Lazar’ è a conoscenza. Galina lo odierà fino alla tomba; solo il lusso e i privilegi che lui può garantirle ‒ il regime lo venera rendendolo ricchissimo ‒ attenuano negli anni il ribrezzo per quell’uomo anziano, rinsecchito, con cui è costretta a spartire il letto. E quando ormai vedova e miliardaria, ma irrimediabilmente inaridita, si ritroverà in casa la nipotina orfana, le sembrerà un ultimo castigo piovuto dall’oltretomba…
Le donne di Lazar’, scritto da Marina Stepnova, autrice russa contemporanea, è un romanzo che si snoda, seguendo le vicende dei personaggi, all’incirca dalla rivoluzione bolscevica fino agli anni ’90. La grande storia è uno sfondo dietro le vite sostanzialmente immutate di Lindt e Čaldonov, rinchiusi in una bolla intellettuale che li mantiene scollati dalla realtà; il peso degli eventi pare gravare solo su Marusja, che si prodiga, aprendo la sua casa ai bisognosi di ricovero durante la seconda guerra mondiale. Galina è il personaggio più tormentato e sofferente, forse il meglio riuscito, segregata in una disperazione muta che la rende sempre più spietata, vive nell’incapacità di intrattenere relazioni affettive, ricorrendo alla compensazione in denaro delle sue manchevolezze, anche con la tenera Lidočka. Si apprezza lo stile fluido e ricercato, la perizia nel costruire la storia, attraverso flashback che la svelano a ritroso, più della trama, in definitiva non eccezionale. Le vite dei personaggi fluiscono senza colpi di scena, e le vicende storiche, di colossale portata, sono rese quasi marginali, come se non interferissero con le esistenze in modo significativo, o almeno questa è l’impressione che se ne ricava. Il romanzo non lascia il segno, nonostante l’indiscutibile qualità di scrittura e i numerosi riconoscimenti ottenuti. Certe personalità avrebbero meritato un supplemento di indagine introspettiva, ad iniziare da Lindt, descritto attraverso i suoi meriti, la mera collocazione sociale, senza nemmeno lambirne la sfera emotiva, e ne sarebbe valsa la pena. Senz’altro più coinvolgente la seconda parte del romanzo, incentrata sulla piccola Lidočka. Un romanzo in definitiva di grandi ambizioni mancate, che genera aspettative di pari entità e forse per questo risulta più deludente.